Il conto alla rovescia parte. Le luci si accendono e gli occhi si aprono, pronti a raccogliere ogni piccolo frammento di un universo tutto da scoprire. L'arrivo di Space Force su Netflix nel 2020 è stato come assistere al lancio di una navicella spaziale nella galassia della serialità. C'era attesa, curiosità, ma soprattutto c'era la condizione di trovarsi di fronte a un viaggio compiuto sulla scia di un'umorismo caustico, irriverente, lasciato in eredità da altre navicelle lanciate in precedenza come The Office e Parks and Recreation. Ma l'allunaggio di Space Force sul suolo di Netflix è stato colpito da meteore di errori, di aspettative, di speranze disattese che ne hanno accidentato il suo atterraggio. Le menti creative che hanno forgiato le strutture di questa astronave dall'impianto televisivo, erano troppo impegnate a rivolgersi verso il passato, per indirizzarsi alle potenzialità del futuro, finendo così per ancorarsi a una narrazione saltellante, lacunosa, costruita su pareti farraginose composte di una sostanza umoristica spenta e poco d'impatto. Nel buio della disfatta, un piccolo barlume di luce ha però iniziato a farsi largo tra le fila delle ultime tre puntate. Una luce che sapeva di riscatto, una luce che brillava di semplicità, un indizio da seguire, uno strumento da sfruttare e dalla cui forza motivatrice lasciarsi ispirare.
Troppo rischioso per Greg Daniels e Steve Carell affidarsi dunque a un nuovo lancio spaziale; come sottolineeremo nella nostra recensione di Space Force 2, è giunto il tempo adesso di tenere i piedi ben saldi a terra, su un terreno fertile da cui prendere nutrimento per mostrare vizi e virtù di una galleria di personaggi sempre uguali, eppure del tutto differenti da quelli mostrati nella stagione precedente. Ecco a voi la nostra recensione di Space Force 2, viaggio di maturazione che fa volare in alto senza bisogno di missili o navicelle.
RIFLESSI DAL PASSATO, SLANCI VERSO IL PRESENTE
Non c'è nessun astronauta ad aprire le danze di Space Force 2, eppure è in queste vesti dal tessuto simbolico che sembra mostrarsi questa seconda stagione: un astronauta sul suolo lunare, che saltella alla ricerca di un centro gravitazionale, con lo sguardo rivolto al pianeta Terra. Ed è proprio alla stregua di quel riflesso terrestre che si sviluppano i primi due episodi: un processo generato sulla scia di un collegamento diretto al passato, a ciò che si è lasciato indietro, ignorando il vuoto profondo che si erge nel buio di un futuro incognito, tutto lanciato in potenza, tra speranze, attese e continui Scacco Matto giocati dalla mano dell'imprevedibilità. Scritte da Steve Carell, le prime due puntate vivono di cadute, lacune, battute spente e buttate senza forza nello spazio di uno schermo, alimentate da un cordone ombelicale impossibile da recidere che pare tenere unita la seconda stagione a quella precedente. Poi ecco che qualcosa muta improvvisamente. L'occhio si sveglia da un sonno criogenico, il cuore inizia a pulsare e tutto rinasce. In una palingenesi continua, la storia è pronta a ripetersi anche per Space Force. Così come era stato per The Office e Parks and Recreation, anche quello compiuto nel corso della prima stagione della serie disponibile su Netflix, non era altro che un giro di rodaggio, un viaggio di perlustrazione, una missione di prova attraverso cui mostrare e introdurre personaggi scanzonati, fuori dall'ordinario e portavoce di un'America perpetuamente in lotta con se stessa, tra slanci prevaricatori, desideri di perfezione e grembi patriottici di una democrazia (im)perfetta.
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GALLERIE SPAZIALI DI RITRATTI AMERICANI PERSONALI
In maniera più profonda e implicitamente irriverente rispetto alla stagione precedente, Space Force si presenta qui più che mai come un prodotto americano che parla dell'America e dei suoi mille volti. Un salto qualitativo compiuto grazie a un semplice passo indietro. Senza peccare di superbia, i creatori Daniels e Carell sono stati capaci di capire cosa mancava e troppo eccedeva nel prodotto precedente, stuccandone le lacune, e livellandone gli eccessi. Paradossalmente, per una serie votata alla conquista dello spazio, è il passaggio dall'immensità dell'universo e dalla sua esplorazione, all'intimità di eventi piccoli e marginali, che si ritrova il cambiamento più funzionale. Nato come uno sguardo irriverente satirico e denunciatorio verso un sistema politico come quello americano, il mondo guidato dal Generale Naird (come sottolineiamo nella nostra recensione di Space Force) sostituisce la guerra allo spazio alle personalità dei suoi dipendenti come vettori icastici dell'universo americano. Tralasciando le missioni e le astronavi nello spazio del fuori campo, lo sguardo di Space Force 2 si concentra adesso tra le mura della base militare. L'instabilità nazionale è sostituita da un'insicurezza personale, tra sentimenti in attesa, legami famigliari minati da paure e affetto, budget ridotti e ansie sul futuro.
Mark Naird (Steve Carell), la figlia Erin (Diana Silvers), il responsabile marketing "Fuck Tony" (Ben Shwartz), i dottori Adrian Mallory (John Malkovich) e Chan Kaifang (Jimmy O. Yang) si elevano a parti imprescindibili di un corollario di umana diversità, prestandosi a riflesso speculare di pensieri, ideali, mentalità e comportamenti di matrice americana e non. Rivelando senza filtri la propria imperfetta natura umana, i personaggi di Space Force 2 non hanno più bisogno di atteggiamenti esacerbati, o performance enfatizzate per intrattenere un rapporto di immedesimazione e umana comprensione con il proprio pubblico. Senza invidiare nulla a precedenti scomodi come Michael Scott, Jim Halpert, Dwight Shrute, Pam Beasley (The Office) o Ron Swanson, Leslie Knope, Tom Haverford (Parks and Recreation) questi scienziati e dottori, astronauti e tirocinanti, si tramutano in creature manovrate con maestria da attori capaci di comprenderli fino in fondo, restituendone in maniera impeccabile il loro ego smisurato, o la loro natura razionale.
COSTRUIRE SUL LEVARE
Quelli dei personaggi di Space Force sono volti simulacrali di sconfitte o agognati successi. Una tela bianca su cui tracciare i contorni di emozioni condivisibili e riconoscibili, istituendo un ponte d'accesso tra l'interiorità di uomini e donne rinchiusi nello spazio esiguo di una base militare, e quella della loro controparte spettatoriale. Se la seconda stagione di Space Force funziona è perché con essa si è ridotto il campo di indagine e scremato le battute irriverenti, le situazioni paradossali ben applicabili al contesto di un ufficio come quello di The Office, ma poco funzionali a un team spaziale come quello qui immortalato. Si pensi solo a come, rivestito di umorismo, il legame conflittuale tra l'ottimista Tony e un padre mostrato solo attraverso lo schermo di un cellulare, viene restituito in maniera sincera, delicata e malinconica. Dolce e ironica è invece la narrazione del processo di seduzione da parte di Yang nei confronti dell'astronauta Angela Ali. Ma il cambiamento più sorprendente di questa stagione riguarda soprattutto il portabandiera dell'intero progetto: il generale Naird.
(RI)COSTUIRE IL GENERALE NAIRD
Con Space Force 2 Daniels e Carell hanno finalmente compreso che Naird non è il nuovo alter-ego di Michael Scott, ma una personalità a lui del tutto estranea e divergente. Come il fratello minore costretto a camminare all'ombra del fratello, così il protagonista di Space Force viene dissezionato dal pubblico, spogliato, e analizzato nei minimi dettagli alla ricerca di un piccolo elemento che lo rimandi al suo precedente. E in questo gioco di associazioni e somiglianze, di aspettative e richieste spettatoriali, Daniels e Carrell nel corso della prima stagione ci sono caduti in pieno. I due hanno fatto di Naird una copia in piccola scala di Scott, affidando a questo generale le idiosincrasie, le battute fuori posto e incomprese, della sua controparte d'ufficio. Ma spingere un personaggio a comportarsi in maniera del tutto divergente rispetto all'ideale di uomo a cui aspirerebbe provoca uno scontro personale, una resa performativa stridente, innaturale, poco bilanciata e poco credibile. Ed è solo nel momento in cui i due autori si accorgono dell'individualità del loro personaggio, e della potenzialità intrisa al suo interno, che non solo ne resettano la sua costruzione, ma arrivano a fare un passo indietro e affidare a terzi la sua (ri)scrittura e formazione. Meno infantile, più sicuro di sé e sensibile, il Generale Naird di questa seconda stagione convince perché fattosi uomo, padre e capitano di una nave che pur nel suo affondamento, non ha timore di toccare di nuovo terra. Più misurati anche i personaggi affidati John Malkovich e Ben Shwartz, i quali senza snaturarsi, riescono adesso a mostrare parti di sé, dissidi interni e frammenti di un'anima prima tenuta all'ombra di battute scaltre e decontestualizzate.
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COMPLICITÀ E INTIMITÀ IN UN PICCOLO SPAZIO COSMICO
Vige in questa seconda stagione una complicità prima solo accennata tra i vari protagonisti. Un legame che tiene unite le esistenze che compaiono sullo schermo, e sottolineato da un'armonia cromatica che tocca nella loro riproposizione - o nella loro complementarietà - abiti, ornamenti, o accessori che uniscono e avvicinano ancor più i vari personaggi che si interfacciano a vicenda, aprendosi in confessioni e rivelazioni personali di forte impatto empatico. Un avvicinamento a cui la stessa regia differenziale (come nella precedente stagione, sono diversi i nomi dei registi che si alternano dietro alla macchina da presa) auspica e desidera comunicare, preferendo riprese ampie capaci di coinvolgere e immortalare diversi personaggi, avvicinandoli e legandoli insieme da una complicità sottesa e invidiabile. Ridotti a piccoli momenti personali, i primi piani sono sguardi privilegiati sull'interiorità dei propri protagonisti, barlumi di un'intimità pronta ad aprirsi ed elevarsi verso l'immensità di uno spazio di amicizia fidata contenuto tra i confini di una base militare.
Parte con il freno a mano tirato Space Force 2, ma una volta compreso il sistema delle marce, si lancia abbastanza sicuro verso una guida spericolata sull'autostrada dell'imperfezione umana. Meno altalenante rispetto alla stagione precedente, Space Force 2 scorre più fluido, trova il suo ritmo viaggiando senza strafare in un percorso mai rivolto al cielo, perché orientato alla natura terrena e umana dei suoi personaggi. Nessun cielo da conquistare, nessuno spazio da esplorare. Il viaggio di questa seconda stagione è un itinerario tra spazi intimi e personalità complesse, galleria di sguardi rivolti davanti a sé, e così poco in alto verso il cielo, verso lo spazio, verso il buio dell'ignoto.
Conclusioni
Concludiamo questa nostra recensione di Space Force 2 sottolieando quanto l'aver lavorato sul togliere piuttosto che sul voler a tutti i costi eccedere abbia giovato nella resa finale di questa stagione. Lasciando le missioni spaziali alle spalle è stato possibile adesso indagare l'interiorità dei personaggi, donando così una natura unica e personale a questa produzione televisiva, prima troppo legata ai suoi precedenti (The Office in primis).
Perché ci piace
- La performance minimale di Steve Carell.
- L'umorismo ben calibrato che sottende ogni episodio.
- Lo spettro più intimistico con cui vengono mostrati i personaggi.
- Le regie ampie e pronte a unire i vari personaggi.
Cosa non va
- Timore costante di ricadere negli errori precedenti.
- Un senso di insicurezza che ancora pervade l'aspetto narrativo.
- La semplicità di un montaggio poco spaziale