Chi pensava che fosse impossibile ormai, in questo momento frenetico di vita artistica e sociale che stiamo vivendo, vedere un film che si prendesse il tempo di dire ciò che vuole, nella maniera più pura ma sfuggevole anche nel cinema cosiddetto d'autore, dovrà ricredersi, grazie all'opera prima dello svizzero Maxime Rappaz, Solo per una notte.
Con Jeanne Balibar che guida, domina, riempie la scena con la sua sola e duale presenza, il film, in uscita nelle sale italiane, prova che una grande interprete e una sceneggiatura ben scritta e condivisa con due autrici come Marion Vernoux e Florence Seyvos, possono permettere una rappresentazione del femminile multisfaccettata anche senza che necessariamente ci sia una donna a dirigere.
Solo per una notte, fin detro il melò
Solo per una notte, dal titolo originale Laissez-moi, in italiano Lasciami, mette al centro della storia una donna di mezza età, Claudine (Balibar), madre sola di un figlio adolescente disabile e bisognoso di cure, che si regala un giorno "libero" per sé a settimana per provare ad essere donna e non solo mamma. Si reca in un hotel di montagna dove si concede incontri di una sola notte o pomeriggio con uomini sconosciuti, che è sicura di non vedere mai più. Tutto segue una routine impeccabile per due mondi che non si intersecano mai se non fosse che l'ultima conquista, l'affascinante ingegnere idroelettrico Michael (Thomas Sarbacher), non solo riesce a toccare corde che fanno breccia in Claudine ma prolunga il suo soggiorno all'hotel, mettendo in crisi tutto il sistema messo in piedi dalla donna per salvaguardare entrambe le sue realtà.
Si spinge quasi dentro il melò, Solo per una notte, film d'apertura dell'ACID di Cannes 2023 e anche menzione speciale allo Zurich Film festival e non ha paura di raccontare la ricerca di libertà di una donna in un'età e in un ruolo a cui la società ed anche il cinema hanno riservato solo rappresentazioni stereotipate e limitanti. "Lasciami" è storia d'amore, è rinascita o accettazione di sé ed è soprattutto una lenta ma consapevole riflessione sull'essere donna e sulle immaginarie o concrete possibilità di poter scegliere un futuro personale e non prestabilito. Un film che è un faro nella notte di pellicole tutte uguali e ripetitive.
Due facce di una donna
È chiaro che Maxime Rappaz, con notevole maturità artistica, pur essendo alla sua opera prima, abbia compreso sin dall'inizio che un film del genere aveva bisogno di una protagonista che gli anglosassoni definirebbero "larger than life" in grado di supportare la storia e interpretare svariate versioni di una donna, che è una e a volte anche trina. Ambientato, non a caso, nel 1997, prima della morte di Diana, idolo del figlio di Claudine e spazio-tempo drammaturgicamente perfetto per trasmettere un senso di contemporaneità ma al tempo stesso motivare il concreto distacco della protagonista dalla sua realtà quotidiana, il film trova in Jeanne Balibar, il suo centro ideale. In lei coesistono due donne, due corpi, due modi di interfacciarsi con l'esterno, con le persone, risate diverse, abiti diversi.
Quando è mamma, sarta in casa e mite artigiana che consiglia, realizza desideri per le sue clienti ma non si intromette mai del tutto, Balibar lavora sempre in sottrazione, sembra più segnata dal tempo, dal viso scavato, senza rossetto, quasi ricurva nell'atto di cucire, accudire, curare, preoccuparsi. Quando si abbandona alla seducente donna che vive e scalcia dentro di lei, è tanto audace da indossare degli stivaletti col tacco, senza calzini, per salire a 2500 mt, indossa un impeccabile vestito bianco e un rossetto rosso scuro che le conferisce il mistero giusto, sostenuto dalla sigaretta che fuma in compagnia dell'uomo prescelto.
È incredibile ma credibile al tempo stesso, per una grande attrice, riuscire a presentarci due personaggi così diversi ma complementari. Di una non immaginiamo nasconda un'audacia, una voglia di vivere ed evadere con il corpo e con la mente. Dell'altra non scorgiamo quasi mai, almeno all'inizio, quel contrasto tra l'amore per un figlio, la devozione e la stanchezza per la privazione di qualsiasi altra passione.
Ricerca di libertà
Quello di Claudine in Solo per una notte è un percorso di ricerca della libertà, fisica ed emotiva, che la protagonista si accorge di perseguire solo quando la situazione sfugge al suo controllo. La naturalezza, la tranquillità e l'istintività con cui Michael la desidera, la vuole, fanno rivivere in lei quella voglia soppressa di liberarsi da tutto e tutti. Quella che Claudine pensava essere solo una necessità fisica, di contatto, di soddisfazione del corpo, si manifesta come bisogno che coinvolge tutto il suo essere.
L'amore che sta nascendo e che potrebbe essere, si pone in contrapposizione con una conseguenza di questa improvvisa smania di libertà, il dubbio sul futuro. Claudine, per la prima volta, non vede davanti a sé un cammino prestabilito, un destino già scritto e Jeanne Balibar lo manifesta nel cambio cromatico dei suoi vestiti o nel modo in cui il suo personaggio si "permette" degli errori, come se inconsciamente, se li concedesse.
Tempo e spazio dal gusto retrò
Solo per una notte non può classificarsi come un melodramma ma vi aspira. Maxime Rappaz mostra apertamente tutto il suo gusto retrò e lascia che la sua eroina elabori il cambiamento che sta avvenendo nella sua vita. Anche il modo con cui Michael irrompe nella routine calcolata di Claudine, la sua fonte di sicurezza e rifugio, è lento come a cercare di corrodere quel saldo schema e non farlo violentemente saltare in aria. Claudine non urla mai ma soffre e gode soffocando la voce, piuttosto le manca il respiro. Balibar non è mai dirompente ma contemplante, compostamente drammatica, come in quei film "di una volta".
In 93 minuti c'è tutto il tempo del mondo, anche per per sapere di più di un figlio, interpretato da Pierre-Antoine Dubey, ad esempio, e scoprire, che il sacrificio di Claudine giornaliero è diventato anche una prigione che si è costruita da sola. Volendo di più per se stessa, indirettamente ottiene di più anche per suo figlio. Solo per una notte è un manifesto sull'essere donna oggi e sulle difficoltà del liberarsi da una narrativa già scritta che ci vuole sempre corrispondenti a dei modelli inimitabili di genitrici virtuose e persone appagate e/o affermate.
Conclusioni
A fine recensione di Solo per una notte di Maxime Rappaz, in uscita con Wanted, elogiamo la capacità del film, guidato da un’attrice come Jeanne Balibar che lo sostiene e lo impersona, di prendersi il tempo e lo spazio giusto per diventare manifesto sull’essere donna. L’opera prima del regista svizzero, tende consapevolmente al melò e rappresenta la ricerca di libertà di una donna che inaspettatamente si risveglia dal torpore della prigione che si era costruita intorno e si abbandona ad una seconda possibilità.
Perché ci piace
- Jeanne Balibar è capace di rappresentare due donne in una.
- Conserva il tempo lento del racconto di persone e non personaggi.
- Si permette un finale più vero e meno cinematografico.
Cosa non va
- Per alcuni potrebbe essere troppo lento.
- La compostezza della protagonista la distacca dalle eroine che amiamo vedere al cinema ultimamente.