Sam (Ludovico Tersigni) e Alice (Barbara Ramella), sedicenni, conducono un'esistenza tranquilla: lui sogna di andare in California per diventare uno skater professionista come il suo idolo Tony Hawk, lei ha già un posto di lavoro assicurato grazie al padre, ma vorrebbe costruire qualcosa di suo. Quando si incontrano è attrazione a prima vista, ma la passione iniziale si raffredda presto quando deve scontrasi con la realtà: aspettano un figlio. Nonostante tutte le persone che li circondano siano scettici sulla loro capacità di essere dei bravi genitori, i ragazzi prendono la scelta coraggiosa di cambiare completamente la propria vita.
Ispirato al romanzo Tutto per una ragazza (2007) di Nick Hornby, Slam - Tutto per una ragazza torna a parlare, dopo Piuma (2016) di Roan Johnson, presentato in concorso all'ultima Mostra del Cinema di Venezia, di adolescenti e gravidanze in giovane età, presentando una realtà molto diversa da quella che la società continua a dipingere: considerati apatici e incapaci di assumersi le proprie responsabilità, i giovani di questo film smentiscono questo ritratto impietoso comportandosi in modo molto più maturo dei genitori trentenni o quarantenni.
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Abbiamo parlato di questo aspetto con Andrea Molaioli, al terzo film da regista, che ha deciso di portare il romanzo dello scrittore inglese dall'originaria Londra a Roma. Nelle sale italiane dal 23 marzo distribuito da Universal Pictures, Slam - Tutto per una ragazza sarà disponibile nel resto del mondo, a partire dal 15 aprile, grazie a Netflix.
I giovani: un ritratto sempre difficile da fare
Come mai i giovani, non solo i cosiddetti "millennials", sono quasi sempre rappresentati come degli sfaticati egocentrici e incapaci di affrontare il futuro? Lo abbiamo chiesto a Molaioli: "Oltre a essere un paese anagraficamente vecchio, in Italia tendiamo a raccontare i giovani in modo troppo semplicistico" ci ha detto, spiegando meglio: "Ci basiamo su giudizi approssimativi, che si fermano al primo impatto, senza andare in profondità. Una delle ragioni principali che mi hanno portato a fare questo film è stata proprio la possibilità di offrire uno sguardo leggermente diverso sui giovani. I miei protagonisti, e la gravidanza in questo senso è quasi un pretesto, sono obbligati ad affrontare la realtà e a trovare una soluzione ai problemi che si presentano, scoprendo in questo modo un senso profondo di responsabilità delle loro azioni, trovando dentro di sé delle capacità superiori a quelle dei loro genitori e delle generazioni più mature. Purtroppo i canali principali della comunicazione e del racconto della realtà non sono in mano ai ragazzi, ma a generazioni più grandi, quindi sono queste che offrono un ritratto dei giovani. Non è un autoritratto, ma una fotografia fatta da chi ha già vissuto una buona parte della vita. Forse, valutando la cosa in modo maligno, mi viene da pensare che chi parla in questo modo dei giovani lo fa perché prova nei loro confronti un po' di invidia, mascherandola con un giudizio raffazzonato e semplicistico. D'altra parte il giudizio negativo nei confronti delle nuove generazioni è una costante che tende a ripetersi ciclicamente: da un lato perché c'è una mancanza di comprensione tra le varie generazioni e questa incomunicabilità spinge a dire che i giovani non stanno facendo quello che andrebbe fatto. Dall'altro queste ultime generazioni in particolare si sono ritrovate davanti un mondo e una prospettiva non particolarmente attraenti: sono cresciute ascoltando una nenia costante che diceva loro quanto il futuro sarebbe stato peggiore del presente, di come le opportunità si ridurranno sempre di più. Nascere e crescere in questo modo è un qualcosa su cui dovremmo riflettere e sentirci responsabili noi generazioni precedenti".
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