Acuta e provocatoria la riflessione sulla mascolinità che inaugura la trilogia su Sesso, Amore e Sogni di Dag Johan Haugerud. Curiosamente per la sua analisi sociologica il regista sceglie due spazzacamini, la cui posizione privilegiata sui tetti di Oslo fornisce una prospettiva diversa su famiglia, fedeltà, tradimento, amore e sesso. Il film si apre coi due uomini, entrambi eterosessuali, sposati e con figli, che si scambiano confidenze intime. Il supervisore della compagnia di pulizia camini (Thorbjorn Harr) è turbato dal sogno fatto la notte precedente in cui una figura "che poteva essere Dio o Anni-Frid degli Abba", ma che finisce per identificare in David Bowie, lo guardava con desiderio, "come se fosse una donna". Per tutta risposta il collega (Jan Gunnar Røise) gli confessa di aver fatto sesso con un cliente il giorno prima. L'atto presentato come impulsivo e inaspettato avrà pesanti conseguenze sul suo matrimonio.

Grazie all'incipit in piano sequenza lungo un quarto d'ora, Dag Johan Haugerud stabilisce le regole stilistiche di Sex, il più ostico e verboso tra i capitoli della trilogia delle relazioni. Il bisogno di riflettere a voce alta sul concetto di mascolinità e sulla possibilità di conciliare matrimonio e libertà sessuale costringe i suoi protagonisti a lunghi dialoghi in cui, con candore inedito, si mettono a nudo svelando i loro pensieri più intimi. Lunghe inquadrature fisse, che si concentrano sull'interlocutore escludendo dal quadro il superfluo, accompagnano questi momenti forgiando uno stile in cui il ritmo non è dato dal montaggio, ma dalla parola.
La libertà sessuale e le sue conseguenze

Cosa resta del mito della libertà sessuale caldeggiata nella società scandinava negli anni '60 e '70? Lo sguardo compassionevole, ma non privo di ironia, di Dag Johan Haugerud nei confronti dei suoi uomini fragili e confusi mette in prospettiva critica il sistema di valori a cui appartengono. La noncuranza sfoggiata dallo spazzacamino nel confessare la sua avventura omosessuale non trova sponda nella moglie, confusa e sconcertata dal comportamento del marito tanto da mettere in discussione la loro unione. Quanto al supervisore, che si accosta con la massima serietà alle confessioni del suo sottoposto, il suo essere cattolico osservante lo pone su un piano diverso dal collega ateo anche se alla fine le conseguenze dell'abbandono al desiderio sessuale sono simili per entrambi.

Libertà sessuale e perdita della mascolinità sembrano andare di pari passo nella visione di Dag Johan Haugerud, che segue la mutazione dei suoi protagonisti a confronto con donne più consapevoli, decise e sicure di sé. Mentre lo spazzacamino deve fare i conti con la messa in discussione della sua eterosessualità e della sua natura intima ("non ti riconosco più" gli rinfaccia la moglie), il supervisore subisce una vera e propria mutazione fisica che passa attraverso la voce più stridula, la lingua irrigidita e la pelle che desquama. L'abbandono al piacere comporta una perdita di sé che ha un sapore quasi punitivo, il regista fa sì che ai personaggi venga negata perfino l'identità vista l'assenza di nomi propri.
Parole parole parole

A valorizzare la compostezza tipica della società scandinava ci pensano i lunghi piani in cui i personaggi sviscerano la loro problematica interiorità con dialoghi che, dietro la sottile patina di humor alla Roy Andersson, attingono a un sottotesto psicoanalitico. La densità, unita alla lunghezza, è tale da far provare una certa fatica durante la visione di Sex. Per portare avanti la sua indagine, il regista occupa ogni spazio disponibile con i dialoghi lasciando qualche piano d'ambientazione che offre scorci inediti su Oslo a far da cerniera tra un confronto e l'altro.
A interrompere questo fiume di parole che a tratti risulta faticoso e ripetitivo all'ascolto intervengono alcuni momenti che aprono a una prospettiva meno letterale e più simbolica. Vedasi lo spazzacamino che spia l'incontro tra la moglie e l'amica al bar finendo per imbattersi in una coppia di sposi, che restituisce dignità al personaggio chiedendo di farsi una foto con lui ("porta fortuna" spiegherà lui inorgoglito alla moglie. Ma è nel finale che la metamorfosi si completa con l'esibizione del supervisore al saggio del suo coro religioso, finalmente libero di usare la propria voce, ammirato e desiderato senza dover fare i conti col senso di colpa.
Conclusioni
Il primo capitolo della trilogia di Dag Johan Haugerud indaga sul mascolinità, identità e libertà sessuale, come svela la nostra recensione di Sex. Dialoghi carichi di riflessioni psicoanalitiche, non privi di una sottile ironia, ma la verbosità mette alla prova lo spettatore in una pellicola in cui a scandire il ritmo non è il montaggio bensì la parola.
Perché ci piace
- La profondità delle riflessioni.
- La messa in discussione dei ruoli nella coppia.
- Lo humor che trapela da alcune sequenze.
Cosa non va
- I dialoghi invadono ogni spazio disponibile, mettendo alla prova lo spettatore.
- In alcuni momenti il film fatica a scorrere.