Da Segreti e bugie a Scomode verità. Mike Leigh, dopo i film in costume Turner (2014) e Paterloo (2018), torna al presente, per raccontare la storia di una donna, Pansy, che metterebbe alla prova anche il più paziente degli asceti. Spaventata, depressa, con una fobia per tutto ciò che è esterno e un'insofferenza, che si trasforma in disprezzo, per chi vive in casa con lei, ovvero figlio e marito, Pansy ha una parola sgradevole per tutti.

Scomode verità è un concentrato del cinema di Leigh, che non ha mai avuto paura di essere diretto e fastidioso. Qualcosa che, sul grande schermo come nella vita, è quasi un tabù. Le persone sfrontatamente spiacevoli destabilizzano, specialmente oggi, in un mondo in cui tutti ci costruiamo un'immagine di facciata, che mostra agli altri soltanto gli aspetti migliori della nostra quotidianità.
Il regista inglese invece va dritto sulla via dell'antipatia, costruendo un personaggio respingente e tragico, da teatro greco. Pansy, interpretata da Marianne Jean-Baptiste, eccezionale (che ritrova sia Leigh che la collega Michele Austin, entrambe nel cast proprio di Segreti e bugie, Palma d'oro a Cannes 1996), incarna il sentimento di angoscia esistenziale che ha avvolto ognuno di noi post pandemia.
Scomode verità: ognuno è infelice a modo suo
Siamo nei sobborghi della moderna Londra, ma rispolverare i classici si addice al film di Leigh. Come dice Tolstoj nell'incipit di Anna Karenina: "Tutte le famiglie felici si somigliano; ogni famiglia infelice è invece infelice a modo suo". Ecco, Scomode verità trasforma in immagini questo concetto. La depressione della protagonista, che trasfigura le sue paure e risentimenti in rabbia feroce, diventa presto una spirale nera e spessa che avvolge tutta la sua famiglia.
Il marito, Curtley (David Webber), si chiude nel silenzio. Il figlio, Moses (Tuwaine Barrett), ha più di 20 anni, ma vive ancora con i genitori, senza un'occupazione o studi in corso. Passa tutto il tempo nella sua stanza, a mangiare e giocare al computer. Sempre in silenzio anche lui. È difficile dire se l'immobilità dei due sia dovuta alla travolgente furia della donna, o se parte della sua infelicità sia provocata proprio dal loro comportamento. Il comune denominatore è che sono tutti infelici.
Tutti tranne la sorella di Pansy, Chantelle (Austin), che è il suo esatto opposto. Anche lei è stata cresciuta da una madre single, anche lei ha cresciuto a sua volta le figlie senza un marito, che se ne è andato. Eppure è ben voluta da tutti grazie al suo carattere solare: ha un negozio da parrucchiera e le clienti vanno lì anche per affidarle le loro confidenze. Insomma: da un ambiente comune è uscito fuori un carattere completamente diverso da quello di Pansy. Leigh si fa quindi questa domanda: perché le persone affrontano il dolore in modo così differente?
Marianne Jean-Baptiste è eccezionale
Il dolore che racconta Leigh non è evidente. Pansy ha un lavoro, una bella casa, una famiglia. Eppure non trova gioia in nulla. Tutto ha solo un'unica nota e colore: il nero. E la fotografia di Dick Pope, fidato collaboratore del regista, scomparso a ottobre 2024, lo sottolinea perfettamente. Nelle superfici splendenti e asettiche dell'abitazione della protagonista, ossessionata dalla pulizia e germofobica, c'è il riflesso di un grande disagio. La sua mente urla talmente tanto da farle provare dolore anche fisico: ha continue emicranie, la mandibola rigida e non riesce a dormire. Forse è il lutto mai elaborato della madre a tormentarla, o un matrimonio che ha abbracciato per non rimanere sola. Anche l'abbandono del padre ha sicuramente il suo peso nella sua anedonia.

La reazione a questo stato d'animo è però violenta: qualcosa che ormai vediamo tutti i giorni. La rabbia è sicuramente il sentimento prevalente su social. E la pandemia ha moltiplicato tutto questo in modo esponenziale: l'angoscia per il futuro, la sensazione di sentirsi in trappola, un fuori che sembra allo stesso tempo pericoloso e necessario sono cose che, collettivamente, non abbiamo ancora metabolizzato e compreso appieno. Pansy in questo senso diventa ancora più spiazzante: c'è un po' di lei in ognuno di noi. E non è piacevole rendersene conto. Marianne Jean-Baptiste è straordinaria nell'interpretarla: è incredibile che la sua prova non sia stata celebrata da premi.
In un mondo di Pansy, c'è però bisogno di più Chantelle. Altrimenti la vita diventa un thriller horror insidioso, in cui il riso si confonde con le grida. Non è una visione facile quella di Segreti e bugie. Ma forse, tra qualche anno, lo ricorderemo come uno dei film che ha saputo rappresentare meglio il sentimento di paralisi collettiva degli anni 2020.
Conclusioni
Segreti e bugie di Mike Leigh è una visione non facile, che sfida lo spettatore con una protagonista respingente. All'inizio si ride con lei per la sua brutalità, ma poi se ne viene schiacciati. Soprattutto quando capiamo che la sua infelicità ha tanti punti in comune con il sentimento di angoscia e paralisi che tutti abbiamo provato, almeno una volta, durante e dopo la pandemia. Un grande esempio di regia, scrittura e recitazione.
Perché ci piace
- L'interpretazione di Marianne Jean-Baptiste.
- La scrittura sottile di Mike Leigh.
- La fotografia di Dick Pope.
- Il coraggio di essere sgradevoli.
Cosa non va
- È una visione non facile, sfidante: l'aggressività di Pansy metterebbe in difficoltà anche lo spettatore più paziente.