Forte del premio come Miglior film della Settimana della critica alla Mostra del cinema di Venezia nel 2003 e del David di Donatello 2004 per la Migliore opera prima, entrambi ottenuti grazie al film d'esordio Ballo a tre passi, Salvatore Mereu si è presentato quest'anno al Festival di Berlino, nella sezione Panorama, con un nuovo ritratto della Sardegna e della sua gente che ha suscitato grande interesse, ma non si è portato a casa alcun riconoscimento. Ed è un vero peccato perché Sonetaula è una delle migliori opere italiane che si siano viste in tempi recenti. Prodotto da Rai Cinema e dalla Lucky Red di Andrea Occhipinti e Gianluca Arcopinto, il film racconta la tragica esistenza di un ragazzino sardo alle prese con le difficoltà della vita: un padre mandato al confino per un crimine mai commesso, un lavoro come servo pastore che lo consegna alla solitudine della montagna, un tenero amore che non ha modo di sbocciare. Stretto all'angolo dagli eventi, Sonetaula inciampa in vendette e gesti avventati che lo costringono alla clandestinità, braccato dai carabinieri che lo vogliono morto. Quasi un western in sardo, raccontato con una fotografia dominata dal blu, il film è tratto dal romanzo omonimo di Giuseppe Fiori e uscirà nelle nostre sale sottotitolato. Quando arriverà in televisione sarà invece tagliato in due parti da 95 minuti ciascuna, rimontato e doppiato in italiano, un piccolo scotto da pagare perché la Rai concedesse il finanziamento. Il regista Salvatore Mereu ha incontrato oggi a Roma la stampa per parlare di questa sua seconda opera, certamente difficile, ma esperienza illuminante che è destinata a non lasciare indifferenti.
Salvatore Mereu, perché ha scelto di portare sullo schermo il romanzo di Giuseppe Fiori?
Salvatore Mereu: Ho avuto l'occasione di fare questo film all'indomani di Ballo a tre passi. Mi hanno chiesto di fare un altro lavoro sulla mia terra e ho colto al volo l'occasione. Mi era capitato di leggere il romanzo di Fiori e ho scelto di farne un film, realizzandolo unicamente seguendo il mio istinto. Certo era un azzardo girare un film in costume e misurarsi con la ricostruzione d'epoca, ma mi piaceva provarci. Sonetaula è stato realizzato secondo modalità poco perseguite dal cinema italiano, mi sono avvicinato ad esso come se stessi per girare un documentario e ho fatto ricorso ad attori non professionisti. Ho avuto grande libertà e la possibilità di girare in ordine cronologico, e ciò ha facilitato di molto gli attori che si sono potuti immedesimare nei loro personaggi giorno per giorno.
Quali sono state le difficoltà che ha incontrato durante la lavorazione del film?
La difficoltà più grande è stata gestire un progetto così ampio e insidioso in un tempo così largo. C'è voluto un anno per realizzare le riprese, con varie interruzioni, con difficoltà quotidiane nella gestione del set, perché lavoravo con attori, per la maggior parte non professionisti, che non sempre potevano garantire un risultato. Aver avuto una troupe sempre pronta a cogliere le situazioni e gli attori è stato un grande vantaggio. E' stato molto importante perché, tranne un paio di attori, c'erano tutti principianti che non avevano una tecnica su cui appoggiarsi.
Nel film si affrontano numerosi temi d'attualità, dalla guerra al politico di turno che arriva in paese per inaugurare i passi avanti del progresso, fino all'inizio dell'Italia del lavoro.
Il libro offriva già molti spunti perché Giuseppe Fiori è stato prima di tutto giornalista e ha vissuto la Sardegna negli anni caldi del banditismo. La possibilità di raccontare questo mondo la dava già il libro. Nel portarlo sullo schermo ho anche rinunciato alla parte sociologica, volendo concentrarmi sul racconto di formazione. Una vita non vissuta come quella di Sonetaula, dove eventi e luoghi sembrano già determinati, può essere ritrovata in qualsiasi parte del mondo. Io volevo raccontare questa storia con l'idea di risarcirla.
Come ha scelto gli attori?
Ci siamo posti da subito il problema di come risolvere l'arco narrativo ampio, visto che raccontiamo dodici anni di vita del protagonista. Da spettatore ho sempre diffidato di quelle staffette che portano attori di età diverse ad interpretare lo stesso personaggio in momenti diversi della sua vita. Qui era ancora più difficile, perché col protagonista crescono anche altri ragazzi. Ho deciso per un'età mediana, rinunciando alla parte più infantile del racconto, ed ho trovato Francesco Falchetto. La fortuna per noi è stata che il ragazzo stava sbocciando proprio in quel periodo e ci è letteralmente esploso davanti alla macchina da presa. E' stato molto bravo, ha fatto proprio il suo ruolo ed è stato aiutato al meglio dai collaboratori che si occupano di trucco e costumi.
Per la bellissima fotografia del suo film ci sono voluti ben quattro diversi direttori. Perché?
Già nel mio primo film, Ballo a tre passi, avevo collezionato quattro differenti direttori della fotografia. Questa specie di staffetta è dovuta al fatto che il film si è dipanato molto nel tempo, ma alla fine si è determinato da sé, decidendo per noi, perché i volti e gli ambienti hanno suggerito e determinato le scelte della fotografia, al di là di chi si avvicendava nel ruolo di direttore.
Quali saranno le differenze della versione televisiva rispetto a quella che esce nelle nostre sale?
Nella versione che sarà trasmessa in televisione, il racconto si apre molto di più per raccontare il contesto, si indaga il mondo di coloro che sono attorno al protagonista, in particolare l'antagonista. Il montaggio inoltre cambia e chiede meno allo spettatore televisivo, rispetto a quello cinematografico. Per ragione di edizione poi il film sarà necessariamente doppiato.
Pensa che nel futuro continuerà su questa strada, continuando a raccontare la sua Sardegna?
Dipenderà molto dalle sorti di questo film. E' un film che ha bisogno di un buon passaparola per trovare il suo pubblico. Io continuo ad approcciarmi a questo mestiere con una certa idea, considerandolo occasionale e sperando di trovare i mezzi di produzione adeguati per farlo. Credo però che bisogna tenere sempre presente il mondo che si conosce per avere più possibilità di riuscita nel racconto di una storia.