Rompere l'incanto
"Una volta che il capo ha preso il suo posto, l'intera organizzazione si identifica con lui in modo così completo che un'ammissione di errore o una destituzione romperebbe l'incanto dell'infallibilità che circonda la sua carica, e segnerebbe la rovina di tutti quelli che sono legati al movimento. Non la veridicità delle parole del capo, ma l'infallibilità delle sue azioni è alla base della struttura" (Hannah Arendt, Le origini del totalitarismo)
Non era necessario apporre in calce ad Operazione Valchiria la dicitura "ispirato ad una storia vera". E' abbastanza noto, infatti, che nel 1944 Adolf Hitler, leader di una Germania nazionalsocialista, subì un attentato cui scampò illeso per una serie di circostanze fortuite; il Führer trovò la morte, probabilmente per propria mano, l'anno seguente nel suo bunker, in una Berlino nella quale i reparti dell'Armata Rossa avevano già fatto irruzione.
La sfida di fronte alla quale si è trovato Bryan Singer, poco più che quarantenne regista-prodigio, autore a trent'anni de I soliti sospetti, che incantò il mondo intero, è duplice: da un lato ricostruire credibilmente un mondo, come quello della Germania negli anni del secondo conflitto mondiale, che ancora oggi si rivela denso di pieghe oscure e di lati controversi. Dall'altro sostanziare un thriller di cui si conosce l'inevitabile esito, che oltretutto risulterà fallimentare per i protagonisti della storia, tutti inevitabilmente travolti dalla furia dello stato-partito impegnato a schiacciare un atto così aperto di sovversione.
Se per quanto riguarda il primo aspetto la pellicola traballa, è sul secondo campo di battaglia, tanto per rimanere in tema, che Operazione Valchiria sbanca il tavolo, accreditandosi come un'opera ficcante e matura.
Da qui la pellicola prende le mosse per dipanarsi nel racconto dell'attentato, del giorno di effimera gloria che vissero gli attentatori credendo che il loro piano avesse raggiunto lo scopo desiderato, e, infine, dell'amara scoperta della realtà con tutte le conseguenze che avrebbe comportato.
Già le prime inquadrature, con il loro carattere evocativo, immergono lo spettatore nella oscura e intellettualmente affascinante realtà del torbido sistema nazista. Sullo schermo rosso si stagliano le parole del giuramento dell'esercito al Führer, sottolineate dal furore con le quali un plotone le urla rivolto alla bandiera con la croce uncinata. L'utilizzo delle musiche e la gestione delle sequenze iniziali svelano immediatamente la cifra conferita da Singer alla pellicola: siamo al cospetto di un thriller dall'impianto solido, classico, efficace. Pensate ad una struttura narrativa simile a quella de I soliti sospetti, e trasponetela in un periodo così fortemente conturbante, e avrete un'idea di massima della potenza della storia che si dispiega di fronte ai vostri occhi. La potenziale banalità di un finale noto viene disinnescata dalla sapiente enfatizzazione dal breve momento di gloria che vissero gli insorti, che rende ancora più amara, drammatica e pregna di senso la triste fine dei cospiratori
La sceneggiatura forse dimostra qualche debolezza nella eccessiva sovraesposizione del ruolo di Stauffenberg-Tom Cruise, che rischia di fagocitare ed oscurare tutti i comprimari, e nell'abbandono prematuro ed un po' facilone del personaggio di von Tresckow, un Kenneth Branagh particolarmente in palla.
Ma è sul punto di vista puramente storico, come avevamo già accennato, che il film non brilla. Da un lato la ricostruzione del contrasto latente che oppose l'esercito al partito è brillantemente evidenziato, partendo da quel giuramento la cui riscrizione fu il primo e vero territorio sul quale si dipanò tale scontro. Come anche è ben descritta l'estrema frammentarietà e disorganicità della catena gerarchica di comando, che spesso appare agli occhi dei profani trasparente e strutturata.
Di contro, la figura di von Stauffenberg, in realtà un conservatore, ai limiti del reazionario, che vedeva nel Führer un flagello che minava la grandezza della Germania di un tempo - quella del kaiser Guglielmo -viene estremamente idealizzata, restituendo del colonnello un'immagine poco veritiera.
Su questo aspetto particolare si sono concentrate le critiche che il film ha ricevuto in Germania, dove la stampa e parte della critica storica ha visto come eccessiva e fuorviante tale semplificazione.
Ci sentiamo di assolvere l'impostazione della pellicola, che, costruita come un thriller, necessitava di un proprio eroe, al quale Tom Cruise ha prestato il volto.
Operazione Valchiria è dunque un film solido ed efficace che corre un unico rischio, accettabile, considerato il risultato finale: quello di raccontare una storia non del tutto coerente con la realtà dei fatti.