Dopo il successo in sala de L'ultimo pastore e il Leone d'Oro assegnato, non senza qualche sorpresa, a Sacro Gra di Gianfranco Rosi, il documentario sembra salito prepotentemente alla ribalta rivendicando un ruolo da protagonista spesso negato dall'ambiente cinematografico. Nuovi successi a parte, però, Vincenzo Marra è un regista che ha sempre creduto nella forza e nella validità del linguaggio del reale non rinunciando mai al privilegio di testimoniare diverse realtà umane e territoriali. Seguendo questa direzione e ampliando il suo sguardo sulla napoletanità dopo Il gemello, il regista presenta L'amministratore all'ottava edizione del Festival Internazionale del Film di Roma che omaggia il suo lavoro con una retrospettiva. Ad accogliere la quotidianità dell'avvocato Umberto Montella che, con costanza e buona volontà abita le giornate di un'umanità sempre più in difficoltà figlia di un paese globalmente in rovina, è il Concorso della sezione Cinema XXI concentrata sulle nuove correnti del cinema mondiale.
Dopo Il gemello, questo documentario continua a comporre il ritratto della città di Napoli e della sua variegata umanità. Com'è nato il progetto de L'Amministratore? Vincenzo Marra: Con questo film, dopo aver raccontato già alcuni luoghi della città, volevo finalmente riuscire a entrare all'interno delle case per fotografare nel modo più naturale e realista il momento storico che stiamo vivendo. In questo caso l'amministratore doveva svolgere la funzione di un Caronte speciale, capace di aprire alcune porte e di traghettarmi all'interno di un'intimità altrimenti difficile da carpire. Il tutto, poi, è nato durante un viaggio in aereo durato ben tredici ore.
Fondamentale, dunque, è stata la scelta del suo protagonista. Com'è arrivato ad incontrare Umberto Montella? Vincenzo Marra: Prima di trovare lo studio Montella ne abbiamo selezionati più di cento. Quando sono arrivato da lui, poi, si è creata immediatamente una forte emozione, di quelle che ti prendono istintivamente e ti fanno capire che tutto andrà per il meglio. Una volta entrato nella sua quotidianità lavorativa, poi, sono rimasto colpito dall'ambiente famigliare e da come gestisce i colloqui con i diversi condomini. Alla base di tutto Umberto mette sempre i rapporti umani e la capacità di essere solidale con un esercito di persone in grave difficoltà. Così, seguendo i suoi passi, sono stato proiettato all'interno di una vera e propria metafora del nostro paese, malmesso e a rischio di crollo come molti degli stabili mostrati. Passando attraverso quattro diverse realtà come Posillipo, il Vomero, la Sanità e la periferia nei pressi di Scampia ho raccontato un universo straordinario e complesso. Certo, poi ci vuole anche fortuna nel trovare la drammaturgia giusta. Il segreto è continuare ad aver fede che qualche cosa di straordinario succederà.Una caratteristica del suo cinema è rendere la telecamera costantemente invisibile. Come riesce a farsi da parte e lasciare totalmente campo alla naturalezza del racconto? Vincenzo Marra: In quei momenti c'è un'adrenalina particolare. Solitamente sono io a gestire la macchina da presa e filmare con accanto a me solamente il fonico. Il resto della troupe rimane in disparte. Tutto si svolge nella frazione di un secondo. Accendo la telecamera e fisso negli occhi il mio interlocutore. A quel punto so se l'altro accetterà la sfida che gli ho lanciato o se rifiuterà. In maggioranza si tratta di una risposta positiva. Sono pochissimi i casi in cui si riceve una negazione. A quel punto la mia unica indicazione è di non fermarsi mai, qualsiasi cosa accada.
Dottor Montella, quanto è stato difficile per lei muoversi costantemente seguito da una troupe cinematografica? Umberto Montella: All'inizio è stato difficile perché sentivamo il peso di essere costantemente osservati. Però, dopo un po', ci siamo abituati, tanto che i cameramen e i tecnici sono diventati di casa per me come per il quartiere. Il problema più grande è che la mia attività non può fermarsi per ragioni cinematografiche e avevo timore d'incontrare delle difficoltà a far accettare la presenza dei miei speciali angeli custodi alle persone incontrate. Nei fatti, però, è stato tutto più semplice di quanto potessi pensare all'inizio. Molto è stato merito della troupe, capace di grande discrezione.Marra l'ha definito il suo personale Caronte, ma lei sullo schermo mostra una sicurezza da attore navigato. Vi siete preparati in qualche modo prima delle riprese? Umberto Montella: Assolutamente no. Considerate che per me è accaduto tutto per caso. Il giorno in cui ho incontrato Marra credevo che avesse bisogno solo di una consulenza. Non è raro che il cinema e la televisione si rivolga a diverse figure professionali per chiedere consiglio su delle procedure. In realtà, poi, mi sono trovato, nel giro di pochi minuti, con le luci montate e la telecamera concentrata a riprendere il movimento delle mie mani. Per quanto riguarda le mie qualità interpretative, posso solo dire che un amministratore deve essere un buon attore. La mia professione mi richiede di essere duttile come la platea che mi ascolta. In modo particolare devo riuscire ad avere un linguaggio elastico, capace di adattarsi alle espressioni più alte come a quelle più semplici.