Durante la prima metà degli anni ottanta, Daniel Pennac era uno scrittore parigino ancora poco conosciuto a livello internazionale che viveva nel quartiere etnico di Bellevile. Il paradiso degli orchi, primo capitolo del ciclo dedicato a Malaussene pubblicato nel 1985, gli concede finalmente la fama e il riconoscimento meritato. Oggi a quasi trent'anni da quei giorni, il suo successo editoriale riceve l'attenzione del cinema e della sezione Fuori Concorso dell'ottava edizione del Festival di Roma, presentando in esclusiva il film omonimo del giovane Nicolas Bary sugli schermi italiani dal 14 novembre. Dopo aver letto le pagine di quel romanzo visionario poco più che ragazzino, Bary non è riuscito mai a staccarsene definitivamente fino a quando, con la benedizione dell'autore e il contributo di un cast formato da Raphael Personnaz, Berenice Bejo e Melanie Bernier, realizza un sogno ambizioso.
Nicolas, perché ha scelto questo romanzo di Daniel Pennac, sicuramente di non facile trasposizione? Nicolas Bary: Ricordo di aver letto Il paradiso degli orchi a scuola, quindi da giovanissimo. Da quel momento ha cominciato a far parte del mio immaginario. Dopo molti anni mi è capitato di rileggere il romanzo in un periodo in cui ero alla ricerca di un nuovo progetto. E in quel momento Pennac stava facendo delle letture proprio de Il paradiso degli orchi a teatro. L'ho considerato un segno da non sottovalutare. Così l'ho aspettato all'uscita per pregarlo di offrirmi questa possibilità. Si tratta di una vicenda caleidoscopica, ricca di emozioni. Solo dopo ho colto le insidie e le difficoltà nascoste.
Come è stato gestito l'adattamento e la struttura della sceneggiatura? Nicolas Bary: Innanzi tutto volevo rimanere fedele all'originale in modo che anche i lettori ritrovassero il sapore del romanzo. Allo stesso tempo, però, sapevo di non dover puntare ad una trasposizione letteraria ma cercare di trasmettere la linfa vitale, l'energia della storia. Quindi abbiamo fatto delle scelte volte alla modernità, visto che non volevo mantenere la vicenda negli anni ottanta. Intatta, invece, è la famiglia e il contrasto tra ciò che è luminoso e gli elementi negativi. Tutto questo ha portato ad un risultato molto visivo ed energetico.Melanie, lei nel film rappresenta una figura femminile particolare divisa tra maternità e sorellanza. Come è stato costruito il suo personaggio, frutto di una sintesi tra le originali Clara e Luna? Melanie Bernier: È frutto di un adattamento molto particolare. Nel romanzo il mio personaggio non vive subito in casa con gli altri. Visti, però, i tempi cinematografici non avevamo la possibilità di seguire tutte le sue evoluzioni. Da questa necessità nasce l'assimilazione tra Luna e Clara. Della prima ho l'energia, mentre della seconda ho fatto mio la dolcezza e il senso materno. Ha il carattere di Clara, molto delicato e dolce, con voce e tenere. È una mamma per tutti.
Signor Pennac, solitamente, quando si realizza la trasposizione di un romanzo il suo autore ne rimane deluso. Lei si è sentito più rappresentato o tradito? Daniel Pennac: Adesso vi dico la verità ma non dovete rivelarla a nessuno. Nicolas e Melanie sono i miei figli. Ad un certo punto le cose per loro non sono andate molto bene. Hanno cominciato ad avere problemi di droga e di alcol. Per salvarli ho deciso di fargli fare questo film dal mio romanzo. A parte gli scherzi, non mi sono sentito tradito. A dire il vero non mi aspettavo proprio nulla, visto che si tratta di un altro metodo espressivo. Vedete, quando un autore affida il proprio romanzo ad un regista deve avere l'intelligenza di non costruire aspettative ma di essere incuriosito dal nuovo materiale che ne verrà.Nicolas Bary: Per l'adattamento abbiamo lavorato con lo sceneggiatore per due anni. Di tanto, poi, incontravo Daniel che mi raccontava la nascita dei suoi libri. Mi ha arricchito molto, perché mi ha aiutato a trovare una mia voce personale. In questo modo mi sono messo al servizio del suo romanzo ma, allo stesso tempo, scoprivo il film che sarebbe nato. Volevo che il mio racconto avesse una visione molto marcata, per questo ho costruito un gran numero di legami con il magazzino. Inoltre, ambientare tutto nel contemporaneo mi serviva per dimostrare che gli orchi sono ancora attivi ai giorni nostri.
Quali sono gli orchi con cui dobbiamo vedercela in questo momento storico? Daniel Pennac: Sono gli stessi, solo in apparenza hanno una natura diversa. Probabilmente sono più affamati. Per tutto il novecento abbiamo avuto gli orchi politici. Sto parlando di gente come Mussolini, Franco, Stalin e Mao. Oggi, invece, sono dei divoratori di prodotti finanziari a livello globale. Hanno una dimensione planetaria e non devono utilizzare alcun pretesto politico per dominare. Sono terribilmente pericolosi perché in apparenza prosperano nella pace, mentre in realtà si nutrono con guerre sotterranee.
Nicolas, a quale tipo di cinema si è ispirato per Il paradiso degli orchi? Nicolas Bary: Senza dubbio mi sono rifatto a Fellini e a tutti i cineasti con uno stile barocco. Penso anche a Terry Gilliam, capace di costruire universi diversi dalla realtà. Però non volevo che questi riferimenti fossero visibili. Per questo mi sono circondato di una troupe composta di personalità diverse con cui dare un afflato cosmopolita alla storia.Signor Pennac, il cinema ha mai ispirato la sua fantasia di romanziere? Daniel Pennac: Le fonti d'ispirazione sono diverse e innumerevoli. Il tema del capro espiatorio, ad esempio, l'ho preso dalla teoria di un filosofo secondo la quale il genere umano si sviluppa rifiutando sempre un elemento, cui viene la colpa di tutto. Poi ci sono personaggi che nascono dalla semplice necessità creativa. Ed, in fine, amici talmente particolari da dare vita a dei caratteri come quello del portiere del magazzino. Molti elementi hanno contribuito alla costruzione delle mie storie, ma mai il cinema. Piuttosto devo molto al noir americano sempre da un punto di vista letterario.