Non fa mistero di essere un progetto particolare, l'ultimo film di Roberto Burchielli, con protagonista un Raoul Bova di nuovo impegnato in ruolo forte, dopo la parentesi giovanilistica di Scusa ma ti chiamo amore. L'attore romano veste infatti i panni di del giornalista d'assalto Matteo Gatti, ispirato alla figura di Fabrizio Gatti, inviato de L'espresso e autore di illuminanti inchieste nel campo del sociale, il cui figlio muore tragicamente in seguito all'assunzione di una pasticca di ecstasy. Matteo deciderà quindi, guidato dal senso di colpa per la morte del figlio ma anche dalla volontà di comprendere più a fondo la realtà dei giovani, di realizzare un servizio sul lavoro dell'Unità Operativa Criminalità Diffusa, vivendo fianco a fianco con i poliziotti che ogni sera si occupano di arginare la piaga dello spaccio milanese. Una compenetrazione di fiction e documentario è quindi la struttura portante del lavoro di Burchielli, nel quale all'introspezione psicologica e alle scene di vita familiare di Matteo, frutto di un lavoro un set vero e proprio, si affiancano le registrazioni originali di arresti ed interrogatori a cui ha partecipato, opportunamente camuffato, lo stesso Bova.
La particolare formula di Sbirri ha calamitato l'interesse di due colossi italiani, Mediaset e Medusa, grazie ai quali il film ha ottenuto una doppia distribuzione: nelle sale cinematografiche e in televisione, mentre della produzione si è fatta carico la Sanmarco, fondata dallo stesso Bova con la moglie Chiara. In conferenza stampa, oltre a regista e protagonista, erano presenti anche Luca Angeletti (che interpreta il capo di Matteo), Simonetta Solder (la moglie) e il giovanissimo Alessandro Sperduti (il figlio).
Cosa vi ha spinto a lavorare per questo progetto? Ed esiste davvero un giornalista così?
Raoul Bova: Il mio personaggio è ispirato a quello di Fabrizio Gatti, un giornalista de L'espresso. L'idea è nata dopo aver visto il documentario Cocaina, sempre di Burchielli, nel quale il mondo dei giovani è dipinto in maniera davvero scioccante: i poliziotti raccontavano il loro lavoro, lo stare a contatto con i ragazzi, e dopo questo forte impatto mia moglie Chiara mi ha convinto a contattare Burchielli per un nuovo progetto. Subito tra noi è nata una grossa stima, e abbiamo avuto l'idea di inserire all'interno di un documentario un attore, rendendolo anche un prodotto cinematografico, nel quale creare il dramma della morte di un figlio e la conseguente rottura, come spesso infatti succede, della famiglia, e la ricerca di quel figlio che forse non si conosceva del tutto. Ma si tratta anche di una ricerca di se stesso e della volontà di capire il mondo dei giovani, cercando di entrare nella realtà, di guardare negli occhi questi ragazzi, veri, e fare domande ai poliziotti, veri. E la conclusione è che questa è una piaga sociale compenetrata dappertutto, e ne sono rimasto scioccato.
Si può partecipare ai veri interrogatori e alle azioni di polizia?
Roberto Burchielli: Alcune scene del film sono girate dallo stesso Raoul con una piccola videocamera, quindi vissute in prima persona, come anche gli interrogatori. Questo è possibile perchè garantiamo in tutti i modi la privacy delle persone. E' ancora più forte, poi, non vedere il volto di queste persone, come se la droga li avesse effettivamente cancellati. Anche la voce è stata camuffata con l'uso di software. Ottenere il permesso è stato complesso, ma il fatto di avere già avuto occasione di lavorare con la polizia ha fatto si che chi di dovere fosse già bendisposto.
Raoul Bova: L'importante era non intralciare mai il lavoro, perchè quando pedini qualcuno e ti salta l'arresto perchè si vede la telecamera è grave. Dove abbiamo operato noi d'altra parte non era così pericoloso, gli spacciatori quasi si facevano arrestare, perchè sanno che è meglio non opporre resistenza, tanto dopo tre giorni sei già fuori.
Nel vostro film la Polizia è una Polizia che funziona, che comprende i giovani. Perchè oggi non c'è nessuno di loro?
Roberto Burchielli: Perchè la Polizia è sensibile al fatto che questo è un film, non vuole farsi pubblicità. E' disposta a informare, ma non a mettersi sotto i riflettori.
Mauro Parissone: Loro lavorano così, non vogliono essere protagonisti. Poi lo hanno visto, è piaciuto molto anche al capo della Polizia, ma hanno voluto fare un passo indietro.
Mauro Parissone: Il progetto nasce per la televisione, infatti è prodotto anche da Mediaset, ma con Raoul e Chiara ci siamo mostrati da subito molto interessati. Ci è piaciuto il lato di sperimentazione, la novità che rappresenta per un'uscita cinematografica. Si tratta anche di un esperimento di mercato, infatti usciremo con più di duecento copie, per dare al progetto una dignità cinematografica totale. Se poi può servire a dare un messaggio rivolgendosi a un pubblico particolare, unendo la funzione educativa a un linguaggio crudo e anticonvenzionale, meglio. Spesso le normali campagne hanno l'effetto contrario, fanno venire voglia di trasgressione, qui invece abbiamo un testimonial importante, che può essere vicino ai ragazzi, senza dimenticare che è anche un film d'azione.
Uno dei poliziotti, Angelo, non si era già visto in televisione?
Roberto Burchielli: E' già stato visto in Cocaina. In effetti ormai gli spacciatori sanno chi è, ma è anche vero che lo spaccio è talmente in evoluzione che per uno arrestato ne saltano fuori altri tre.
Fabrizio Gatti ha visto il film?
Roberto Burchielli: Si, l'ha visto e gli è piaciuto. Ci ha trovato anche molto della sua vita, della propria ricerca personale.
Cosa pensate dei tagli ai finanziamenti alle forze dell'ordine recentemente decisi?
Roberto Burchielli: Noi siamo sempre pro le istituzioni, quindi siamo sicuramente dispiaciuti di questo.
Raoul Bova: E' ovvio che tagliare chi combatte la criminalità è molto grave. I tagli sono stati fatti dovunque, e io stesso ho chiesto ai poliziotti che lavoravano con me se non avevano rabbia per doversi pagare da soli le ricariche dei telefonini, per non avere la certezza della pena per queste persone. Loro rispondevano semplicemente "noi che possiamo fare, questa è la realtà". Questi tagli metteranno in difficoltà i poliziotti che non sono retribuiti abbastanza per quello che fanno, e mi dispiace perchè saranno lasciati ancora più soli, soprattutto quelli che credono veramente in quello che fanno.
Quali difficoltà hanno avuto gli attori?
Luca Angeletti: E' stata un'esperienza molto rara, abbiamo fatto lunghi piani sequenza, anche di quarantacinque minuti, lavorato in maniera teatrale. Ci siamo basati sulle sensazioni, anche su quelle create da uno sguardo reciproco. E' una cosa molto difficile da descrivere. Il mio personaggio ha addirittura scontrato la fiction con la realtà [nel momento in cui, nel ruolo del datore di lavoro, si reca a Milano a cercare Bova e viene fermato dai poliziotti che lavorano con lui, n.d.r.]. Nello stesso periodo stavo girando un altro film a Milano e spesso la sera raggiungevo loro, c'era proprio la passione della ricerca insieme.
Simonetta Solder: Io ho iniziato il film con Roberto che mi ha detto "devi fare la pasta", quindi mi ha messo subito in condizione di sentirmi a casa. Il sapore di verità è dato anche dal fatto che non avevamo cinquanta persone della troupe intorno, ma eravamo solo noi tre. Ci sono stati molti ciak anche di quaranta minuti, che però volavano, resi semplici dal non avere gente attorno. Avevamo i nostri scontri, litigavamo, e nel frattempo dovevo preoccuparmi veramente che la pasta non scuocesse. Ho letto il copione, o meglio lo stralcio che c'era, ma l'ho dovuto mettere subito da parte.
Raoul Bova: Ora parlo da produttore, e bisognava proporre il film agli attori, ma il copione in pratica non c'era. Il fatto di fare un'operazione di tipo diverso è andato anche nel senso delle trattative, e in questo ringrazio gli agenti e gli attori perchè accettare di mettersi in gioco completamente non è facile. Anche Mediaset e Medusa hanno avuto fiducia, perchè non bisogna mai dire in giro di non avere un copione...
Alessandro, come hai vissuto questa esperienza alla tua età?
Alessandro Sperduti: A livello recitativo è stato pazzesco, poter far passare le emozioni che nascevano naturalmente. Il ragazzo che interpreto non è tanto diverso da me, si vuole semplicemente divertire con gli amici. Oggi il divertimento è associato allo sballo, e il mio personaggio muore per una sola pasticca: è una cosa diffusissima, presa con leggerezza, e spesso non ci si rende conto di cosa si sta facendo. Non so se esiste una soluzione a questo problema, non so dove stiano le sue radici, ma l'informazione sugli effetti reali di queste sostanze spaventa.
Il confronto immediato con la criminalità e le sue vittime che sensazioni vi ha provocato?
Raoul Bova: C'era una voglia mia, come genitore, come padre, di capire. Ci si chiede come educare i propri figli, se si sta facendo tutto il possibile per loro. Queste stesse domande sono state riportate un po' nel mio personaggio. Poi ci si rende conto che certi giovani non credono più nella possibilità di sognare, di credere in un futuro. Far vedere quello che fa la polizia veramente può contribuire a dare una prospettiva, a capire che ci sono persone positive, guidate da degli ideali. Io vedo che gli eroi di oggi, quelli che stanno sulle prime pagine dei giornali, sono sempre il mafioso, il camorrista, e volevamo provare a infrangere questa cosa, a portare in prima serata degli eroi normali. Quello che ho fatto finora non è mai stato forte come stavolta. Vedevo le facce della gente a cui entravo in casa, case vissute, piene di tragedie, e provavo una sensazione di intrusione: l'impatto è scioccante, come l'intervista che abbiamo fatto a un bambino di dieci anni che sapeva cos'era la cocaina, o all'operaio che la prende perchè altrimenti dopo una giornata di lavoro sarebbe troppo stanco per giocare coi suoi figli, o all'insegnante che si compra l'eroina e poi fa lezione ai nostri figli. Manca il fiato dalla paura, per quanto il problema sia sottovalutato. I giovani oggi non hanno il senso del sacrificio, non gli si insegna che spacciare per avere i soldi per andare in vacanza a Ibiza, per comprarsi i jeans firmati, è sbagliato.Se non avevate copione, che ruolo ha avuto nella sceneggiatura Duccio Camerini?
Roberto Burchielli: E' stato importantissimo per la costruzione della storia. Il copione era libero, evolveva di giorno in giorno a seconda di quello che succedeva. Si studiava come far sì che gli avvenimenti reali fossero vissuti dal personaggio.
Quanto ha contato l'aspetto didattico?
Roberto Burchielli: Io ho visto due genitori, Raoul e Chiara, che volevano una storia importante per i loro figli. A noi piacerebbe che i genitori fossero più attenti a certi aspetti. Bisogna a parlare ai ragazzi di dieci anni, perchè a diciotto è troppo tardi, è scioccante ma è così.
Raoul, come ha influito la tua esperienza nel cinema americano?
Raoul Bova: Il fatto di vedere attori americani come De Niro, o Pitt, che spaziano dalla commedia al film impegnato mi ha fatto capire che è importante non settorizzarsi. La mia performance fa parte di un percorso che ho cercato anno dopo anno per esprimermi al meglio. Forse non si tratta nemmeno più di una prestazione, ma è stata vita vissuta. Si rifà a un vecchio metodo, quello dell'Actor's Studio, non molto applicato, e qui declinato nella realtà.
Luca Angeletti: La realtà in questo caso supera la finzione, la difficoltà era raggiungere la realtà dei poliziotti. Per un attore c'è il rischio di "recitare troppo", quindi non avere un copione è stato meglio.
Questo film è stato caldeggiato dal Ministero dell'Interno? E a chi si rivolge il film? I giovani lo andranno a vedere?
Roberto Burchielli: Non sono mai stato avvicinato dal Ministero, io poi non voglio fare la morale a nessuno. Io ho due figli che vanno al cinema almeno due volte la settimana, quindi credo che i ragazzi ci vadano eccome al cinema. Mi ha sorpreso ad esempio vedere che, per Gran Torino, il pubblico in sala era tutto di ragazzi.
Non vi è venuto il dubbio che tra i poliziotti ci fosse un eccesso di politicamente corretto?
Raoul Bova: Nel film ci sono anche scene con urla, con lo spavento di persone che venivano comunque fermate. Il Capo della Polizia ci ha esplicitamente detto di non attenuare nulla, perchè quando sei di fronte a un criminale devi combattere. Prima ovviamente i poliziotti li attaccano, ma quando ti trovi di fronte a un diciottenne cosa devi fare, lo tratti male? Non nel loro caso, perchè si rendono conto che anche questi ragazzi sono delle vittime. Io cercavo di fare domande in proposito, anch'io mi chiedevo se fossero così per via delle telecamere, ma non si sono mai traditi, e quindi se recitavano si meritano davvero l'Oscar.
Il film è spettacolarizzato ma c'è anche molta realtà. Come mai questo dualismo?
Raoul Bova: Il discorso era quello di portare l'informazione ad un alto livello di visibilità. Quindi si devono scegliere sia le giuste dinamiche di sceneggiatura che l'attore adatto. Io rappresento anche Palermo-Milano o Scusa ma ti chiamo amore, magari tutto quel pubblico venisse a vedere questo film.
Roberto Burchielli: Volevamo sia fare un film spettacolare che raccontare una storia.
Come vi siete rapportati con la figura del giornalista?
Roberto Burchielli: Dovevamo dare un background al nostro personaggio. Io Fabrizio Gatti l'ho conosciuto per caso mentre entrambi stavamo lavorando sugli sbarchi e mi è sembrato un riferimento adatto.
Raoul Bova: Un giornalista non può stare fermo, deve capire. E con la scusa di fare il reportage va a trovare i propri fantasmi, le domande a cui non ha una risposta. E alla fine scoprirà di non aver fatto tutti gli sbagli che credeva di aver fatto.