È un vero vulcano in attività Roberto Benigni, proprio come solo lui riesce ad essere: la sala è gremita e scoppia in un grande applauso al vederlo durante l'incontro di chiusura della festa del Cinema di Roma, e lui nonostante il ritardo sembra essere felicissimo di prendersi tutto il loro affetto. Si siede e inizia a parlare velocemente, con quel modo frenetico che sa di fiume in piena, come se le parole non riuscissero a stare dietro a tutti i suoi pensieri: spesso si perde, viaggia nel suo personale iperuranio, e nonostante le domande specifiche non sembra proprio farcela a rimanere sui suoi binari. Il risultato è un incontro spumeggiante, divertente, che in più di un'occasione ha emozionato il pubblico grazie ai numerosi ricordi di un uomo che ha fatto la storia del cinema italiano, più di quanto molti possano immaginare.
Il primo indizio della sua incredibile prolificità è il suo rapporto con i registi italiani, soprattutto Federico Fellini: si inizia infatti con una stessa citazione del maestro del cinema italiano, che lo definisce "un Pierino buffo e lunatico". Un omaggio pieno di affetto che Roberto Benigni ricorda benissimo. "La prima volta che ho letto questa citazione Federico era già morto, e per la prima volta ho pianto. Non ero commosso per le parole, ma perché avrei voluto tanto abbracciarlo dopo averle lette e invece non potevo più". Una frase struggente, che tuttavia esce dalle sue labbra con il sorriso, dimostrando immediatamente che il più grande talento di Benigni è proprio quello, riuscire a comunicare con allegria anche le emozioni più drammatiche.
Benigni e Fellini a confronto
Il primo spezzone ad essere mostrato è proprio La voce della luna, che il protagonista dell'incontro ricorda con enorme affetto. "Fellini aveva questa maniera di sedurre particolare, che partiva dalla sua voce e ti faceva entrare nel suo mistero. Per lui eri sempre il centro, la persona privilegiata della sua vita. E tuttavia non ti portava mai dentro al cuore, ma sempre alla periferia. Anche parlando di una cosa stupida, come una bottiglia, riusciva a trasformarla da una cosa semplice a qualcosa di meraviglioso, e così era anche il suo cinema. Quando arrivava sul set si sentiva un vento fresco che cambiava il cuore. Io sembravo un cagnolino sul set, gli stavo sempre addosso perché amavo vedere come lavorava, e lo stesso era anche con Paolo Villaggio. Era il suo ultimo film, una specie di testamento sulla nostra società e sul nostro mondo, mostrando la volgarità della nostra fine, un commento molto amaro sui nostri tempi ma con la sua solita grandezza stilistica, che guardavo ammirato". Stesso discorso anche per l'autore che lo ha ispirato più di tutti, Charlie Chaplin. "La prima volta che ho visto un film di Chaplin, lo ricordo ancora, sono entrato in sala e quando sono uscito non ero più la stessa persona. Qualcosa era cambiato in me, ero stato testimone di una bellezza enorme, e mi sono detto che anche io volevo far parte di quella bellezza".
Malick, Jarmusch e gli altri: il rapporto con i registi oltreoceano
Antonioni voleva fargli interpretare San Francesco, Terrence Malick invece il diavolo: tutti hanno una visione diversa del caleidoscopico Benigni, ma forse la più particolare è proprio quella del regista americano. "Incontrai Terrence Malick quasi per caso, durante la serata degli Oscar, ormai diciannove anni fa. Ero seduto in platea e qualche fila davanti a me c'era quest'uomo con il cappello da texano: Malick è un regista misterioso, nessuno lo vede mai, quindi non credevo che fosse lui, ma ad un certo punto si alzò e venne a presentarsi, fu un momento straordinario. Lui venne anche a trovarmi, è molto religioso e affascinato dalla storia della religione, avrebbe voluto fare un film su San Pietro e mi ha chiesto di fare il diavolo. il film poi non si fece più perché a livello produttivo era troppo complicato avere i fondi, e alla fine fece The Tree of Life ma chissà, magari un giorno lo faremo davvero". Un altro regista con cui ha avuto grandi contatti è Jim Jarmusch. "Io e lui ci siamo incontrati in giuria al festival di Salsomaggiore, ed eravamo d'accordo su tutto nonostante fossimo in contrasto con il resto dei giurati. Abbiamo iniziato a capire che potevamo essere amici, ma io non parlavo inglese e lui non parlava italiano, quindi parlavamo in francese come lingua comune. Io prendevo spesso il taccuino per segnarmi delle frasi, e lui riprese questa cosa anche nel suo film in cui compaio per una piccola parte. Con lui c'è un'amicizia vera, che dura ancora oggi".
Il riconoscimento internazionale
Si parla anche di film italiani, con clip che vanno da Non ci resta che piangere a Johnny Stecchino, fino ad arrivare al riconoscimento internazionale con La vita è bella, di cui ricorda un aneddoto particolare. "Ero appena arrivato a Los Angeles e mi chiamò il Vaticano perché il Papa voleva vedere il mio film. Sono dovuto ripartire subito, e una volta arrivato in Vaticano mi ricordo una processione di suore pronte ad inchinarsi al passaggio di Giovanni Paolo II che invece arrivò in pantofole. Si commosse molto vedendo il film, mentre a me sembrava assurdo aver visto un film accanto al Papa".
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E poi, nel rivedere la scena della morte di Guido, si lascia andare a qualche ricordo. "Questa scena è stata la più difficile da far arrivare sul grande schermo... in molti avrebbero voluto censurarla sia in Italia che all'estero, perché credevano che il film fosse comico: per me non lo è, è pensato come una vera tragedia, e sono felice che sia arrivata al montaggio finale". La vita è bella è stato il primo e unico film della storia ad essere candidato in due categorie (miglior film e miglior film straniero), e Roberto Benigni è il primo e unico italiano ad aver vinto l'Oscar come attore, nonché il primo e unico ad averlo vinto diretto da se stesso. Un successo enorme, e chissà che non si ripeta di nuovo con il prossimo film in lavorazione.