Se fosse stato qui certamente Robert Altman avrebbe apprezzato la passione con cui i cinefili torinesi e non stanno seguendo la retrospettiva, fiore all'occhiello del Torino Film Festival 2011. Il grande regista statunitense moriva cinque anni fa, ma il suo cinema non ha ancora smesso di spiazzare gli spettatori, grazie allo sguardo caustico e mai indulgente sulla società americana. A pochi metri dalla Mole, i cui cancelli sono adornati dalle foto di scena di alcuni dei più belli film di Altman, da MASH, ai Protagonisti, passando per California Poker e Il lungo addio, abbiamo incontrato la moglie ed il figlio (nonché scenografo) dell'autore, Kathryn Altman e Stephen Altman, Matthew Seig, produttore dagli anni '80, l'attore feticcio Michael Murphy e, dulcis in fundo, Keith Carradine, protagonista di uno dei cult di Altman, quel Nashville considerato unanimemente come uno dei 'musical' più rivoluzionari della storia del cinema. Ognuno di loro ha regalato alla platea di giornalisti e appassionati il proprio ricordo del regista, con qualche sorpresa...
Domanda d'obbligo a tutti voi: quando avete conosciuto Robert Altman e com'è stato lavorare con lui?Michael Murphy: Ci siamo conosciuti molto presto, avevo appena finito la scuola e grazie alla dritta di un'amica sono venuto a sapere che stavano cercando attori per la serie televisiva Combat, diretta da Bob. Così sono finito sul set. Mi presero, ma sfortunatamente girai un episodio che causò il licenziamento di Altman. I produttori non volevano assolutamente che lui lo girasse, ma approfittò della loro assenza per farlo lo stesso. Diciamo che l'esperienza televisiva di Bob finì in quel momento. Poi sono arrivati film e anche il quel caso gli inizi sono stati davvero difficili. Non c'erano soldi e spesso e volentieri Robert veniva anche sabotato, ma non era tipo da abbattersi, anzi si rialzava sempre. Partecipai a Quel freddo giorno nel parco e a Countdown, un film questo in cui si parlava in particolare della competizione tra USA e URSS su chi fosse arrivato per primo sulla Luna. Naturalmente, in un tipico finale alla Altman, Bob fece 'vincere' i russi e gli studios lo hanno licenziato. Ma come dicevo prima, non era tipo da abbattersi perché di lì a poco sarebbe arrivato M.A.S.H. e fu un successo strepitoso. Ricordo che in una premiere a San Francisco non finivano più di congratularsi con lui...
Keith Carradine: Avevo 20 anni quando Bob stava facendo il casting di I compari. Ero a Broadway con il musical Hair e avevo fatto The Gunfighter con Johnny Cash. Ho conosciuto Robert nel suo appartamento in California. Aprì la porta accogliendomi in accappatoio, mentre era affaccendato ad aprire un pacco marrone proveniente dalla Colombia. Erano gli anni '70 e ho pensato subito a qualcosa di strano, ma il pacco conteneva solo un pezzo d'arte precolombiana. Il provino è stato velocissimo. Mi ha detto, 'C'è questa parte, la vuoi fare?' E io ho risposto Sì! L'unica cosa che mi preoccupava era la possibilità di tagliare i miei lunghi capelli, ma Bob mi tranquillizzò. Invece, una volta arrivati sul set a Vancouver mi portò dal parrucchiere e gli chiese di tagliare tutto. Mi rattristai molto e lui disse 'Hai l'ego nei capelli e non va bene, taglia tutto'. Lavorare con lui era meraviglioso, era come entrare a far parte di una famiglia, di un circo. Aveva la capacità di creare un'atmosfera di libertà per gli attori e possedeva una grande energia creativa. Credo che questa sia stata una delle ragioni per cui è sempre stato amato dagli attori ed è lui che devo ringraziare.
Kathryn Altman: Quando ci siamo incontrati e poi uniti Bob aveva 34 anni e stava lavorando ai suoi documentari. Il suo desiderio era quello di continuare a lavorare in televisione e se poi ci fosse stata l'opportunità, di passare al cinema. Entrambi avevamo due figli nati da precedenti relazioni, poi ne abbiamo avuti altri due, quindi abbiamo subito formato una grande famiglia. Questo ha cambiato un po' il mio approccio alla vita. Visto che non avevo grosse aspirazioni artistiche decisi di seguirlo con i nostri figli, altrimenti considerato il suo lavoro, non l'avrebbero mai visto. Non vi nascondo che sia stato molto difficile vivere così, ma alla fine siamo stati bene e questo perché Bob riusciva ti permetteva di fare parte della sua vita. Questo mi ha regalato un'identità ben precisa.
Stephen Altman: Ascoltando tutto quello che è stato detto non posso fare altro che confermare l'eccezionalità di Bob. Sapeva ascoltare le persone e aveva la mente aperta e chiedeva spesso il tuo contributo. In fondo ha sempre pensato che il cinema fosse condivisione. Era arguto e intelligente.
Matthew Seig: Beh, lavorare con lui non è mai stato facile, ma mi sono sempre divertito. In qualità di produttore non potevo non apprezzare una delle sue caratteristiche principali, e cioè la capacità di far fruttarei soldi. Forse non tutti sapete che agli inizi della sua carriera Bob si manteneva facendo i ta tatuaggi di riconoscimento per i cani. Ecco, se era stato in grado di fare soldi con questa attività particolare, poteva davvero fare qualunque cosa. E all'occorrenza sapeva anche recitare per affascinare i finanziatori e sfilargli qualche dollaro in più. Ho provato una grande tenerezza quando l'ho visto invecchiare. E' vero che Altman aveva una scheda dettagliata di tutti i 24 personaggi di Nashville e che durante le riprese ha buttato via tutto?
Stephen Altman: Allora, diciamo che aveva inventato un escamotage per tenere sotto controllo tutta l'organizzazione delle scene. In sostanza aveva creato uno storyboard con quattro colori diversi, giallo, arancio, verde e blu, che corrispondevano agli esterni e agli interni giorno e agli esterni e interni notte. Su ciascun pannello, poi, che raccoglieva le 127 scene, tutti e 24 i personaggi erano rappresentati da spillette colorate. Così facendo Bob aveva il totale controllo dell'evoluzione della storia e se un personaggio spariva improvvisamente, cambiava immediatamente la sceneggiatura.
Keith Carradine: E Improvvisavamo tutti. Io ero terrorizzato da questa cosa e cercavo costantemente il conforto della sceneggiatrice. Inoltre odiavo il ruolo che dovevo interpretare, perché ero talmente immaturo da non riuscire a separare la mia personalità da quella del personaggio. Invece in maniera geniale Bob mi aveva letto dentro e quello che vedete sullo schermo era un ragazzo che non si piaceva e che doveva ancora crescere. Quindi ha avuto ragione ancora una volta.
Signor Carradine, com'è cambiata la sua vita personale dopo il successo di Nashville? Si rendeconto che ha fatto innamorare migliaia di donne cantando I'm easy?
Keith Carradine: Tutte le donne che ho incontrato mi hanno sempre confuso con il personagggio di Nashville, pensando che fossi come lui. Fu rivelatorio per me anche se ancora oggi non capisco perché piacessi così tanto. Forse perché alle donne piacciono i fuorilegge.
Signora Altman, come sceglieva gli attori suo marito?
Kathryn Altman: La selezione degli attori era spinta dall'istinto puro. Certo, seguiva i percorsi canonici, vedendo i film o andando a teatro, curiosando nelle scuole di recitazione e facendosi consigliare dagli agenti, ma con loro doveva subito scattare il feeling. Sì, l'istintività era la sua chiave di selezione.
Michael Murphy: Hollywood era schizofrenica. C'erano le commedie con Doris Day e Rock Hudson e poi c'era anche i film come Easy Rider, opere che hanno spiazzato lo Studio System perché ottenevano un successo strepitoso e ai piani alti non sapevano proprio come ribattere a questa nuova ondata. Dal mio punto di vista, quello dell'attore, sembrava di essere al Luna Park. Non potevo credere di lavorare in libertà e di rapportarmi in maniera libera con il regista, che poi era il mio unico referente. Oggi questa autonomia è difficile da realizzare, a meno che non ti chiami Steven Spielberg. Stanno tutti con l'orologio in mano. Lo vedete voi stessi che i prodotti realizzati non sono espressivi ed eleganti. E per me è una grave sconfitta.
Matthew Seig: Bob diceva sempre che Hollywood sa produrre le scarpe, mentre lui sapeva produrre guanti.
Signora Altman, prima è stato detto che suo marito si rialzava sempre, anche se subiva delle grosse batoste. Qual era il suo segreto?
Kathryn Altman: Era un vero entusiasta, tutto qui. Era talmente profondo in lui il desiderio di realizzare i suoi film che riusciva sempre ad ottenere il risultato prefissato. Vede, è una questione di personalità.