Sono passati quindici anni da quando nelle sale italiane è arrivato Quasi famosi e Cameron Crowe ha regalato un ritratto onesto ed emozionante del mondo del rock degli anni '70, raccontando una storia in parte autobiografica in grado di riflettere con bravura le tante sfumature della musica live attraverso lo sguardo del giovane aspirante giornalista, William. Il filmaker ritorna ora a raccontare quello che accade dietro le quinte di un tour con Roadies, un progetto dagli ottimi propositi che rischia, però, di pagare il costo proprio del profondo dell'amore per la musica che anima la serie di Showtime.
L'idea di Crowe, realizzata con il contributo del manager dei Pearl Jam Kelly Curtis e J.J. Abrams, è infatti quella di celebrare proprio il lavoro dei roadies, ovvero i tecnici che si occupano di tutti gli aspetti di un concerto necessari a permettere agli artisti di esibirsi.
La delusione causata dal disastroso Sotto il cielo delle Hawaii e il poco brillante La mia vita è uno zoo hanno portato i fan di Crowe a riporre nel progetto targato Showtime le speranze di riavvicinarsi alle atmosfere che hanno contraddistinto le sue opere migliori, rimanendo soddisfatti forse solo in parte.
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La vita frenetica dei roadies
Il tour manager Bill (Luke Wilson) e la responsabile della produzione Shelli (Carla Gugino) lavorano al tour del gruppo Staton-House Band e devono affrontare problemi di lavoro e personali, tra crisi di mezza età e un matrimonio a distanza un po' in crisi. Tra i roadies c'è anche Kelly Ann (Imogen Poots), che ha annunciato di voler abbandonare il tour per andare a studiare e diventare una regista, scelta motivata dal fatto che non prova più lo stesso feeling nei confronti della musica. E poi c'è Phil (Ron White), presenza storica nel backstage che ha lavorato con i nomi storici, Gooch (Luis Guzmàn) l'autista, lo strano Wesley (Machine Gun Kelly) rimasto disoccupato, i tecnici, i responsabili della sicurezza ed entra in scena persino una stalker che è stata condannata a mantenere la distanza ma è pronta veramente a tutto.
L'equilibrio di questa famiglia allargata e molto particolare viene però spezzato dall'arrivo di Reg (Rafe Spall), un esperto in finanza che deve sistemare una situazione difficile ma sembra incapace di comprendere le specificità dell'ambiente in cui si trova.
Una visione della musica idealizzata e ricca di passione
Roadies ha il merito di puntare l'attenzione su dei professionisti il cui lavoro rimane nell'ombra e spesso non riconosciuto nel modo adeguato nemmeno da chi ama la musica. Crowe, senza alcun dubbio, conosce i segreti che si celano dietro un concerto indimenticabile e ne offre una rappresentazione interessante, pur edulcorata da idealismo e un'abbondante dose di buoni sentimenti. Dopo i primi minuti che introducono Bill, impegnato con relazioni senza impegno con una ragazza fin troppo giovane, e il suo rapporto con Shelli che tutti pensano vada oltre la sfera professionale, l'attenzione si sposta sul bus dei roadies, accompagnando le immagini con la voce di Bob Dylan e la sua Tangled Up In Blue per presentare Kelly Ann e l'autista Gooch. La loro conversazione è il primo assaggio dei dialoghi composti da aneddoti e idealismo che sembrano alimentare la sceneggiatura degli episodi.
Le prime ore trascorse al lavoro su New Orleans sottolineano poi l'idea di famiglia e unione che sostiene le azioni dei protagonisti e danno un'idea generale dell'incredibile lavoro necessario alla realizzazione di uno show seguendo gli spostamenti di Bill, Shelli e Kelly Ann. Difficile, però, per un non addetto ai lavori capire quanto sia accurato il ritratto del lavoro dei roadies e chi siano i giovani che ricevono una "lezione" da Phil e dal tour manager, presenza forse giustificata solo dal bisogno di spiegare agli spettatori alcuni elementi importanti dei personaggi e della loro professione.
L'idealizzazione di Crowe è evidente nella maggior parte delle interazioni tra i personaggi, ideate per enfatizzare il concetto di appartenenza a un nucleo famigliare veramente speciale, fondato su una passione condivisa, anche se non mancano le battute divertenti che permettono ad attori come Ron White di dare spazio al proprio talento comico. Roadies riesce infatti a mettere in secondo piano dei dialoghi non sempre brillanti grazie alla bravura degli interpreti: Luke Wilson risulta assolutamente naturale nella sua interpretazione, Carla Gugino riesce a dare delle sfumature alla sua production manager dalle grandi responsabilità, mentre Imogen Poots si inserisce alla perfezione nel mondo di Crowe, in cui i personaggi femminili riescono sempre a distinguersi in positivo. Persino Rafe Spall esce quasi indenne da un personaggio incredibilmente stereotipato, basato sull'idea di un outsider che viene da lontano, in questo caso dal Regno Unito, senza avere alcuna consapevolezza del mondo che deve affrontare e nemmeno le basi per parlare di musica.
La serie dimostra però la sua vera forza nei momenti in cui Cameron Crowe lascia spazio realmente alla musica: dalla canzone del giorno (nell'episodio Life Is a Carnival I Wish I Was Sober dei Frightened Rabbit) alle prove dei The Head and The Heart che offrono un'interpretazione live del loro nuovo singolo All We Ever Knew. Il regista, come accade sempre con i suoi film, conferma la sua capacità di regalare sempre delle colonne sonore che affiancano ai pilastri del settore brani di artisti che meritano di essere conosciuti a livello internazionale. Quei momenti in cui la musica è assoluta protagonista rendono così possibile accettare anche gli stereotipi forzatissimi, la critica a chi vuole affrontare l'arte come sia un semplice prodotto da vendere (concetto incarnato dalla figura di Reg e sottinteso in tutti i riferimenti sarcastici e taglienti a Taylor Swift e al suo tour di successo inseriti nel pilot) e non ne capisce l'anima. Crowe sembra perfettamente consapevole di aver portato all'estremo questi ideali, ma non esita a proporre un climax in cui si alternano le immagini di Kelly Ann con quelle del suo corto, realizzato con il preciso scopo di mostrare quanto il cinema offra una rappresentazione falsa degli attimi in cui si ha una rivelazione legata alla propria vita. Il parallelo, sulle note dei Pearl Jam e la loro Given To Fly, è il passaggio più retorico e costruito dell'intera puntata, eppure riesce ugualmente ad avere l'effetto emotivo desiderato.
Un'idea con qualche punto debole
Uno dei grandi dubbi che emerge nell'assistere alla première è legato alla scelta di limitare incredibilmente lo spazio al gruppo per cui i roadies lavorano e per cui provano l'incredibile ammirazione che motiva le loro scelte e rinunce. Servirà un ottimo lavoro da parte degli autori per spiegare come questa presenza invisibile permetta a così tante persone di considerare il proprio lavoro qualcosa di veramente speciale, andando oltre le frasi fatte e i buoni sentimenti.
L'idea di puntare l'attenzione non sulle star, ma su chi lavora nel dietro le quinte è lodevole e interessante, tuttavia la sfida che il regista e il suo team hanno davanti a loro è quella di discostarsi dalle figure quasi poetiche, seppur non prive di difetti, che hanno delineato nel pilot, ampliando lo sguardo oltre al trio di protagonisti e non scivolando nelle fin troppo ovvie storie d'amore accennate nella prima puntata.
La ventata di sentimenti positivi che vengono trasmessi dalla visione di Roadies è, inoltre, sicuramente una boccata d'aria fresca tra il dilagante cinismo e la tanta violenza mostrata sul piccolo schermo, tuttavia la serie dovrà trovare un modo per superare la celebrazione senza compromessi dallo spirito distante da ogni logica economica che esiste nella dimensione creata da Crowe per Showtime: la dichiarazione d'amore del filmmaker è convincente e fonte di profonda gioia per chi ama la musica, ma è un concetto sicuramente difficile da portare avanti per troppi episodi senza perdere forza ed efficacia.
La recitazione e gli aspetti tecnici non suscitano invece particolari preoccupazioni in vista dell'evoluzione della storia, e nemmeno la struttura che prevede per ogni puntata una tappa diversa dal tour appare come un punto debole, bisogna invece attendere per scoprire se personaggi secondari, come Gooch o il divertente Wesley, avranno maggiore spazio e se i dialoghi diventeranno più realistici e meno costruiti.
Un progetto dalle buone potenzialità
Roadies sicuramente permette a Cameron Crowe di ricordare il motivo per cui è riuscito a farsi amare da intere generazioni e quanto sia profondo il suo legame con il mondo della musica. La serie brilla proprio nei momenti in cui questa sua passione prende il sopravvento sulla narrazione e su espedienti narrativi fin troppo utilizzati sul piccolo schermo. Il potenziale per una prima stagione interessante è presente nel pilot ma, anche nel caso in cui si scivolasse negli schemi meno originali dei triangoli amorosi e dello scontro tra la passione e le esigenze commerciali, si potrà sempre comunque apprezzare la possibilità data agli spettatori di avvicinarsi alla vita dei roadies e conoscere band e artisti indipendenti di grandissimo valore che non hanno ancora ottenuto la meritata fama internazionale.