Scrivere la recensione di Rimini, film presentato in concorso all'edizione 2022 della Berlinale (e successivamente premiato alla Diagonale, festival specializzato in cinema austriaco), significa ritornare, dopo una lunga attesa, nel mondo cinematografico di Ulrich Seidl. Era infatti dal 2016 che il cineasta viennese mancava sugli schermi in generale, e dal 2013 che non firmava un film di finzione. Un effetto, come per il suo precedente trittico "paradisiaco", dei suoi metodi di lavoro: il progetto è stato girato tra marzo 2017 e marzo 2018 (uno degli interpreti è morto prima della fine delle riprese), e inizialmente concepito come film unico prima di essere diviso in due parti (la seconda, di prossima uscita, è incentrata sul fratello del protagonista della prima). Rimane invariato l'approccio del regista, che ha firmato la sceneggiatura insieme alla moglie Veronika Franz e, durante la lunga post-produzione, ha anche prodotto film di altri, tra cui il coming of age viennese Sonne che ha vinto il premio per la migliore opera prima alla stessa Berlinale che ha segnato il grande ritorno di Seidl.
Che bravo, quel Richie!
Rimini è ambientato nell'omonima città italiana, dove Richie Bravo (Michael Thomas) si è stabilito da diverso tempo, lasciandosi alle spalle l'Austria. Specializzato nel genere Schlager, Richie gode ancora di un discreto seguito presso il pubblico femminile di una certa età, e quando non si sta esibendo sul palco arrotonda facendosi pagare per prestazioni sessuali. Il suo unico vero contatto umano, al di là di occasionali visite al fratello Ewald (Georg Friedrich, che qui appare sostanzialmente in un cameo e avrà il ruolo principale nella seconda parte del dittico, Sparta), è con il padre pensionato (Hans-Michael Rehberg, deceduto poco dopo aver girato le sue scene), ma la routine quotidiana viene stravolta quando una giovane donna si presenta a uno dei concerti di Bravo e si porta appresso una scomoda verità: è sua figlia, da sempre trascurata e abbandonata, e il cantante comincia a essere roso da sensi di colpa...
Recensione In the Basement (2014)
I tempi cambiano, Seidl no
La cifra stilistica di Ulrich Seidl è sempre la stessa: inquadrature fisse che intrappolano i personaggi e ne mettono a nudo speranze e ipocrisie con glaciale brutalità. Ma con la differenza che a questo giro, come già accaduto in Paradise: Hope, c'è un briciolo di umanità in più, un cuore a suo modo tenero e in alcuni punti molto divertente, che rende più scorrevole l'esperienza delle due ore passate insieme a Richie (rimane da vedere se sarà così anche con la seconda parte, a giudicare da alcuni indizi sul contenuto). Richie, quell'uomo che è ormai solo una maschera di se stesso, una dramatis persona il cui artificio si regge appena in piedi, così come quello della città dove lui si esibisce: siamo lontani dalle atmosfere estive (basti pensare, in ambito cinematografico, al Rimini Rimini di Corbucci), ritrovandoci invece immersi nell'ambiente nebbioso invernale. Una nebbia che però non offusca la visione lucida e precisa di Seidl, ammirevolmente implacabile come da tradizione.
Recensione Paradise: Hope (2013)
Musica, maestro!
A contribuire all'impatto emotivo - in parte sorprendente - della pellicola è la componente musicale, con una colonna sonora che non mette alla berlina lo Schlager ma ne ripropone temi e stile con grande sincerità, dando alle performance canore di Michael Thomas una dose non indifferente di pathos. In quei momenti si fa particolarmente viva l'anima tematica del film: ognuno cerca la felicità, ma non può scappare per sempre dal passato. Nozione che nella persona di Richie ha un che di paradossale, poiché lui è letteralmente fuggito dalla patria e dalle proprie responsabilità, ma rimane attaccato a ciò che era, incapace di accettare un presente dove quelli come lui sono ormai quasi dei fenomeni da baraccone. Quando lui canta è un'esibizione seducente e al contempo straziante, un urlo di dolore camuffato da istrionismo sentimentale, dove ogni parola d'amore, che sia in tedesco o in italiano, cela un profondo, ineluttabile disprezzo per sé stesso.
Conclusioni
Arrivati alla fine della recensione di Rimini, ci diciamo un po' sorprese dal genuino pathos che attraversa il pur preciso e implacabile nuovo lungometraggio di Ulrich Seidl, girato fra Austria e Italia.
Perché ci piace
- L'uso insolito di Rimini come location contribuisce all'atmosfera crepuscolare del film.
- Michael Thomas è fenomenale.
- I numeri musicali sono sinceri e al contempo intrisi di tristezza.
Cosa non va
- Difficilmente convincerà chi non apprezza lo stile di Ulrich Seidl.