Con Mario Sesti, direttore della sezione L'Altro cinema del Festival di Roma, aveva preparato per lungo tempo la serata. Gli ospiti, gli inviti, l'introduzione. Ogni piccolo particolare era stato studiato.
Ma Gil Rossellini non ce l'ha fatta ad essere presente il 29 ottobre all'Auditorium di Roma, a presentare il terzo capitolo del videodiario che lui stesso aveva dedicato alla malattia che lo aveva sorpreso improvvisamente nel 2004, paralizzatolo alle gambe, e costretto a più di quaranta operazioni in quattro anni.
Kill Gil (Vol. 2 e 1/2) - non 3, perchè il terzo doveva essere il capitolo girato per celebrare un ritorno a camminare che non è mai avvenuto - diventa così un modo per ricordare un grande uomo, ancor prima che un produttore ed un documentarista di successo, che decise di filmare senza pudore ma con garbo e dignità il proprio calvario perchè "non potevo non filmare la cosa più interessante che mi è successa negli ultimi anni".
Cosa ci può dire Mario Sesti del suo rapporto con Gil Rossellini?
Mario Sesti: Il programma prevedeva presenza di Gil. La bellezza di questi suoi documentari, la curiosità, la libertà con cui parlava della sua avventura umana era ciò che caratterizzava l'uomo ancor prima che l'artista. Mi diceva che per alcuni versi le scene delle operazioni sembravano un film di Cronenberg! (dure al punto che, alla proiezione del Festival, due persone si sono sentite male, costringendo ad una interruzione di qualche minuto, n.d.r.) Una vitalità ed una forza d'animo pazzesche! Qualcosa di profondo lo legava alla musica e al cinema, al punto che fino all'ultimo ha continuato a pensare che il Festival fosse una cosa molto importante, parlava continuamente dell'organizzazione, della sala, dei biglietti, ed era entusiasta al pensiero di esserci, nonostante la tortura alla quale era sottoposto. Il suo è a metà tra un diario e un romanzo vissuto in prima persona.
Ma chi meglio del più grande dei fratelli Rossellini, Renzo, può aiutarci a ricordare il "piccolo" Gil?
Renzo Rossellini: Eh, si, in effetti me lo ricordo come si ricorda un fratellino piccolo. Riusciva a infonderci coraggio in una guarigione che già allora sembrava impossibile. In un certo senso ci sono abituato, perchè nel 46 morì il mio primo fratello. Però è accaduto tantissimi anni fa, lui l'ho visto crescere, amato come un fratello e quasi come un padre. Per lui fare un documentario era come un anestetico al suo dolore, guardarsi da una macchina da presa gli creava una certa distanza con quello che stava vivendo.
Che ne pensa di suo fratello e del suo lavoro?
Renzo Rossellini: Se pensa che lui era il più piccolo dei Rossellini, ed io ero il più vecchio, può capire come me lo sia visto crescere vicino. Gil nella sua vita ha scelto il documentario perchè voleva guardare la realtà, scoprire la verità delle cose, con un atteggiamento molto serio sulla vita. Da questo punto di vista anche i suoi film sulla malattia sono uno sguardo su una realtà orribile. La ricerca non investe su una malattia che investe una persona su dieci milioni al mondo, come quella che ha colpito mio fratello. E' morto nell'indifferenza di chi investe nella ricerca. Bisogna ricordare che i suoi documentari sono questi, che ha fatto su di sè, ma anche gli altri. Il 22 ottobre avrebbe compiuto 52 anni, e quel giorno, insieme agli altri fratelli, abbiamo presentato "Il buco nel muro", suo documentariosu una zona poverissima del mondo, l'India. La serie di Kill Gil rappresentano quella grande serietà che è stata un segno inconfondibile della sua vita e del suo lavoro.
Il più grande collaboratore di Gil, Stefano Pierpaoli, ci offre il ricordo più appassionato dell'artista scomparso.
Stefano Pierpaoli: Nei venti giorni prima della morte continuava a fare progetti, con l'immutato atteggiamento che l'ha accompagnato e guidato fin dall'inizio. Il filo conduttore delle iniziative legate a Kill Gil erano guidate dalla passione e dalla capacità umana di Gil, che metteva sempre al primo posto i rapporti umani, le relazioni con le persone che gli stavano attorno, prima che il lavoro e i successi. La storia di Kill Gil, oltre a essere la storia della sua malattia, è una storia di rapporti umani veri e solidi, e ci dà la misura di quanto sono importanti i legami che costruiamo, cosa per di più non facile in una condizione come quella di Gil. Lui in questo è stato un fuoriclasse, di una sensibilità speciale e di un'ironia unica. Il pomeriggio prima che morisse lavoravamo sulle ultime parti di testo e ci lavoravamo scherzando, eravamo allegri, tranquilli, sereni, protesi verso il futuro. Due sere prima della morte abbiamo esultato vedendo la Roma vincere una partita. Kill Gil è questo, è la storia dell'amicizia di Gil con il mondo, con una parte di vita che apparentemente ti va contro, ti ostacola, ma alla quale in realtà Gil va incontro, non facendosi determinare dagli eventi, anzi, rilanciando in ogni istante.