Recensione Wolfskinder (2013)

Il regista non vuole farne un film storico o politico, anzi la pellicola è essenziale non solo nel contestualizzare la sua storia, ma anche nello spazio che offre agli adulti, niente altro che imprevisti, positivi o negativi che siano, nel lungo viaggio, spesso senza una reale meta, di questi coraggiosi e piccoli perseguitati.

Sopravvivere come lupi

Anno 1946, Hans e Fritzchen sono due fratelli di quattordici e nove anni costretti a procurarsi da mangiare per sé e la madre morente durante un rigido inverno nel bel mezzo dei boschi dell'ex Prussia. Alla morte della donna, decidono di cercare rifugio in Lituania dove famiglie di contadini stanno aiutando moltissimi bambini tedeschi, ma durante il viaggio, in fuga dai soldati russi, sono costretti a dividersi, forse per sempre. Hans non perde la speranza e continua il proprio viaggio unendosi ad altri coetanei in difficoltà, tra cui la combattiva Christel e i due fratelli Asta e Karl.

Non ci può essere orrore più grande di vedere dei bambini costretti a fuggire dalle proprie famiglie, dalla propria identità, da soldati che sparano a vista; cercare di sopravvivere ad intemperie, malattie, alla fame e alla sete; diventare improvvisamente adulti, responsabili della vita propria e di quella di altri bambini perfino più piccoli e sfortunati. L'orrore raccontato da Rick Ostermann in questo suo primo lungometraggio è quello reale ma misconosciuto di una delle pagine più strazianti della storia della Germania, è la storia dei cosidetti bambini-lupo richiamati dal titolo originale Wolfskinder che in decine di migliaia cercavano rifugio in Lituania per sfuggire alla brutale caccia dell'Armata Rossa. Ma il regista non vuole farne un film storico o politico, anzi è essenziale non solo nel contestualizzare la sua storia, ma anche nello spazio che offre agli adulti, niente altro che imprevisti, positivi o negativi che siano, nel lungo viaggio, spesso senza una reale meta, di questi coraggiosi e piccoli perseguitati.
Un'altra scelta interessante è quella di realizzare un film dal tono molto asciutto, privo di alcun tipo di retorica o sentimentalismo, senza tirarsi mai indietro quando si tratta di mostrare sequenze anche molto crude e disturbanti, ma al tempo stesso non cerca mai l'emozione facile o l'empatia con gli spettatori; il regista piuttosto va avanti convinto per la sua strada, senza guardarsi indietro, proprio come i suoi piccoli protagonisti che, non c'è bisogno di dirlo, sono il vero cuore del film, grazie anche alle convincenti prove di tutti i giovanissimi interpreti, con in particolare il duo Levin Liam ed Helen Phil, entrambi classe 1999, che sembrano avere davvero tutte le caratteristiche giuste per continuare la loro carriera di attori.

Movieplayer.it

3.0/5