Uniti di nome e di fatto
United. Unita. E' così che una squadra deve rimanere, perché la sua forza sta in questo. E deve rimanere unita specialmente nei momenti più brutti, in cui da solo non ce la puoi fare. Il film tv di James Strong parla proprio di uno di questi momenti, anzi del momento in assoluto peggiore per il Manchester United, ovvero il disastro aereo del febbraio 1958 in cui persero la vita ventitre persone, e che decimò l'organico dell'astro nascente del calcio inglese. Ma, dopo una sequenza di apertura molto evocativa che ben prefigura la tragedia, la narrazione torna indietro di due anni, per testimoniare gli esordi del giovane Bobby Charlton, ansioso di entrare a far parte della prima squadra ma tenuto a bada con polso dall'allenatore Jimmy Murphy, che ne vuole mettere alla prova motivazioni e volontà. Il gran giorno arriverà comunque presto per Bobby, e il suo debutto sarà solo l'inizio di una folgorante carriera che andrà di pari passo con i successi della squadra, che infatti si troverà, due anni dopo, a dover affrontare anche le competizioni europee. Ma il presidente della Lega Calcio inglese non vede di buon occhio questa esterofilia, e rifiuta di accordare un posticipo al Manchester, impossibilitato, con i mezzi abituali, a tornare dalla Jugoslavia in tempo per l'impegno di campionato. E' per questo che il presidente Matt Busby deciderà di noleggiare un aereo privato, quello stesso aereo che si schianterà, in fase di decollo, sulla pista dell'aeroporto di Monaco. Con molti dei propri compagni morti, a Bobby sembra impossibile continuare a giocare, e sarà ancora una volta Murphy a doverlo guidare nel suo ritorno alla vita.
United non è un film sul calcio, anche perché, aldilà di qualche breve sequenza, di calcio giocato se ne vede davvero poco. E' però un film sull'idea del calcio, e più in generale dello sport, quello fatto per passione, perché è la cosa che si sa fare meglio e perché è la cosa che possiamo fare per far stare meglio gli altri. E' un film sull'amicizia, sulla solidarietà, sulla vicinanza emotiva e umana che può essere raggiunta quando un gruppo di persone ha qualcosa da condividere, genuinamente e senza doppi fini, come invece sembra molto difficile fare in quest'epoca in cui la compravendita economica è ormai il motore di qualsiasi attività, e l'unica a poterne effettivamente decretare le sorti.
United non è un film su dei calciatori, ma su delle persone unite da una comune passione e che, grazie a ciò che quella passione li ha resi, hanno trovato un proprio posto nel mondo, e non sono disposti a rinunciarvi. Il primo a portare avanti questa risolutezza è Jimmy Murphy, interpretato da un David Tennant che dà vita a un personaggio di grande intensità, ironico, coriaceo, dalla determinazione stoica e motivato, più che da ogni altra cosa, dall'affetto che lo lega ai suoi ragazzi, dalla responsabilità che la sua posizione gli conferisce, non tanto istituzionalmente ma prima di tutto come essere umano. Anche il giovanissimo Jack O'Connell appare a proprio agio nel ruolo di Bobby, di cui incarna tutta la freschezza e l'entusiasmo, così come l'ingenua, cieca disperazione che lo porta a domandarsi perché proprio a loro è dovuto capitare quello che è capitato, nell'illusione che la vita sia sempre meritocratica come lo era stata con lui fino ad allora. Strong è abile nel veicolare tutti questi delicati passaggi emozionali con una regia attenta a ogni sguardo, a ogni gesto, e ai loro più intimi significati: di cameratismo, di sfida, di dolore.La ricostruzione storica dell'Inghilterra degli anni Cinquanta è efficace e curata nei dettagli, e contribuisce a trasportare lo spettatore in un mondo di scarpini lisi dalle continue lucidature, di divise senza sponsor e di giocatori che spazzano il cortiletto dietro casa e devono fingersi idraulici per rimorchiare le ragazze, tanto è considerato affidabile il loro mestiere: ma è anche un mondo di persone autentiche, che giocavano per giocare e giocavano per vivere, e dalla cui storia abbiamo senz'altro qualcosa da imparare.
Movieplayer.it
3.0/5