Ipocondria canaglia
Il comico francese di maggior successo degli ultimi anni, Danny Boon, torna alla regia con un film che, ancora una volta, dopo gli exploit di Niente da dichiarare e, in particolare, di Giù al Nord, ragiona e gioca sul concetto di frontiera e su quello delle incomprensioni linguistiche. Infatti, Supercondriaco - questo il titolo del suo nuovo film - dovrebbe raccontare le disavventure di un ipocondriaco cronico, Romain Faubert, interpretato dallo stesso Boon, che finisce per superare le sue paure, grazie anche all'amore di una donna. In realtà, però, Boon va presto fuori tema e dimentica di sviscerare le tragicomiche conseguenze che comporta l'essere un malato immaginario preferendo dirottare il racconto su questioni a lui più care, come ad esempio il misunderstanding linguistico.
Il Tcherkistan, ovvero i luoghi comuni sui paesi ex-URSS
L'ossessiva ricerca di malattie inventate che spinge addirittura Romain ad avere come unico amico il suo medico (interpretato da Kad Merad già co-protagonista di Giù al Nord) viene infatti dimenticata nel momento in cui il protagonista si innamora della sorella del dottore. La donna è una strenua sostenitrice della ribellione in atto in un dittatoriale paese immaginario dell'Est Europa, il Tcherkistan, e Romain allora finge di essere il coraggioso e misterioso guerrigliero che guida la rivolta. Uno scambio di persona, giocato sul tema del sosia, che da Plauto in poi è la quinta colonna - decisamente usurata - della comicità e che in Supercondriaco ha una declinazione ripetitiva e poco divertente. Boon, infatti, evidentemente a corto di idee, gioca solamente sull'incomprensione linguistica e sul fatto che il suo protagonista parla male il francese e deve fingere con la sua amata di saper declamare perfettamente l'oscura lingua tcherkistana. Il costante riferimento a usi e costumi tcherkistaniani dà luogo poi a una serie di banali e fastidiosi luoghi comuni sui paesi dell'ex Unione Sovietica, tra vestiti lisi e status di rifugiati, tanto che il presunto risvolto da commedia "che sa anche far riflettere" vacilla di fronte alla sensazione di un approccio sbrigativo e che rischia di esser tacciato di razzismo.
La coppia ritrovata, o quasi...
Ovviamente, dopo il successo di Giù al Nord, Danny Boon ha voluto di nuovo al suo fianco Kad Merad. Il duo funziona, non c'è che dire, ma in fin dei conti viene presto abbandonato dal racconto perché il personaggio del medico, nel momento in cui cade il tema dell'ipocondria, sparisce completamente per lasciare il campo alla sorella, interpretata da Alice Pol. E con lei, anche per una evidente mancanza di scrittura, Danny Boon riesce a duettare molto meno bene.
Va detto comunque che il più palese difetto di Supercondriaco appare proprio la sceneggiatura e, forse, ancor prima, il soggetto stesso del film, incapace di puntare su un unico argomento. La confezione della nuova fatica di Danny Boon in realtà è ottima. Belle, ad esempio, le scene d'azione ambientate nella prigione del Tcherkistan, girate con uno stile dinamico che non ha nulla da invidiare a un action vero e proprio. E, oltre all'affiatamento del cast, anche la regia appare in generale tutt'altro che sprovveduta. Boon sa girare e lo dimostra in più occasioni, sia nelle belle riprese in esterni di Parigi, sia in qualche sfoggio di bravura: basti citare, ad esempio, il mini piano-sequenza in cui si passa da un'aula di tribunale a quella in cui si festeggia un matrimonio. E, se vogliamo, di fronte allo stile piatto e poco ragionato delle nostre commedie, anche le più recenti (Tutta colpa di Freud, La gente che sta bene, ecc.), per un film come Supercondriaco forse bisognerebbe addirittura arrischiarsi a parlare di maestria registica. Peccato per tutto il resto...
Movieplayer.it
2.0/5