Sad Lex
Andrea Campi è un avvocato che lavora in un rinomato studio milanese. Ogni mattina sale in auto, dribbla il traffico cittadino, prende in giro quei poveretti stipati nel tram e parcheggia sotto l'anonimo palazzone che racchiude tante anime in pena e in doppio petto. Quando il compagno di stanza si getta dalla finestra, finendo sul tettuccio della sua utilitaria, Andrea non comprende subito quale fortuna gli sia capitata. La morte del collega, pianta solo dalle segretarie e ignorata dal resto dello staff, gli permette di partecipare ad un affare molto importante, l'acquisizione di una ditta farmaceutica da parte di una multinazionale di Dubai. E' un vero raggio di luce in una vita segnata in verità da ben poche soddisfazioni: una relazione fugace di tanto in tanto, prontamente bloccata sul nascere, due o tre partite dell'Inter, seguite con un gruppo di cinesi restii ad esultare con lui, la visita dalle ziette o le aste su E-bay. Solo una donna può dare un po' di verve in un'esistenza monotona e la donna in questione si chiama Emilie (Zoé Félix), l'affascinante francese che segue la controparte di Andrea nella transazione con gli arabi. Non è amore a prima vista, ma un rapporto che cresce giorno dopo giorno e che porta i due a confrontarsi su un campo minato. Perché in fondo, a forza di passare sopra i propri sentimenti, diventa difficile fidarsi davvero di qualcuno.
Antonello Venditti si chiedeva come facessero le segretarie americane a farsi sposare dagli avvocati. Incapaci di dare una risposta relativa alle tattiche nuziali negli Stati Uniti, possiamo affermare dopo aver visto Studio illegale di Umberto Carteni che a Milano il matrimonio tra una segretaria e il praticante di uno studio legale si 'contrae' in maniera molto poetica. Chi lo ha detto infatti che gli avvocati non sappiano amare e non sappiano rischiare tutto pur di avere un bacio sincero? Partendo da questo assunto, il regista romano, al secondo lungometraggio dopo Diverso da chi? mescola romanticismo e analisi del mondo degli squali in giacca e cravatta, con l'intento di stupire lo spettatore, smontandone le certezze e i luoghi comuni. E' vero, certi avvocati sono aridi, venderebbero la madre pur di vincere una causa, o come in questo caso, mettere nero su bianco per assicurarsi un affare remunerativo; eppure alcuni di loro conoscono il reale valore di un essere umano e sanno fremere per i dardi scoccati da Cupido. Partendo dall'omonimo romanzo di Duchesne, pseudonimo di Federico Baccomo, qui sceneggiatore assieme a Francesco Bruni e Alfredo Covelli, Carteni sposta l'ago della bilancia e colora di rosa una storia che avrebbe potuto e dovuto essere dipinta (anche) nelle nuances del grigio e del nero; quel tanto da esaltare un reale ritorno alla vita del protagonista che in fin dei conti non desta il minimo interesse. Anche se non si può parlare di un prodotto mal confezionato, quello di Carteni è un lavoro al di sotto della sufficienza, in cui i temi portanti della storia, l'alienazione lavorativa, l'incapacità di vivere rapporti umani profondi, l'identificazione con ciò che si fa, mettendo tra parentesi la propria identità umana, sono solo accennati, abbozzati e mai sviscerati del tutto, ammantati da uno spirito leggero che è in realtà superficialità travestita da levità. Incerta nel registro, mai cattiva fino in fondo (e i suggerimenti non mancavano di certo, visto che la storia parte dal suicidio di un uomo) la commedia di Carteni è un'occasione sprecata perché liquida con fastidiosa e inadeguata ironia una realtà desolante, senza ricorrere allo spirito dissacrante del nostro cinema migliore e senza sapere davvero cosa dire. I personaggi tagliati con l'accetta poi non fanno che amplificare questo senso di spaesamento, un po' come uno che balla la macarena ad un concerto rock; ma non è tanto la presenza di una figura come Fabio Volo, destinato a perpetuare la maschera del cinico, rinsavito per amore, a far storcere il naso, quanto l'aver avuto al proprio arco delle frecce che non sono arrivate all'obiettivo; tutto questo per colpe di una regia poco brillante, fiacca, incapace di valorizzare gli spunti interessanti che emergono dalla storia. E allora se si chiude un occhio su uno sviluppo quanto mai canonico della trama (se si eccettua per il finale, un piccolo tocco di suspance poco valorizzato anch'esso), quello che si accetta meno è lo spreco di un materiale narrativo interessante, che avrebbe dovuto e potuto essere mostrato in altro modo. Più difficile da digerire è la convenzionalità di certe immagini e situazioni stereotipate, che tutto dovrebbero dire, ma che invece non fanno altro che coprire, mascherare, senza guizzi umoristici.
Movieplayer.it
2.0/5