Poesia panica
Pochi sono i registi in grado si spiazzare come Aleksei Fedorchenko, fautore di un cinema visionario che travalica i confini del semplice racconto per immagini per aprirsi allo sperimentalismo e divenire autentica poesia per immagini. Nella sua estetica convivono molteplici istanze, a volte anche in contrapposizione tra loro: alla solennità si accompagna spesso la dissacrazione; al dramma fa da contraltare il grottesco, mentre la vocazione per il realismo cede il posto molto spesso alla fantasticheria più sfrenata. Basti dire che il regista russo ha esordito come documentarista, ma si è poi discostato dall'aderenza nei confronti del reale con il folle mockumentary del 2005 The First on The Moon, che la dice ben lunga sulla volontà dell'autore di uscire fuori dalle tradizionali classificazioni di genere. In Silent Souls, acclamato dalla critica al Festival di Venezia del 2010, Fedorchenko concentra la sua attenzione sulla cultura Mari, un'etnia proveniente dagli Urali in via d'estinzione che tenta di difendere strenuamente le proprie tradizioni del tutto peculiari, tra cui una lingua unica d'origine ugro-finnica e una religione ancestrale di tipo pagano. L'opera era una sorta di poema funereo e solenne, ma al tempo stesso anche un canto alla vita che si estrinsecava a partire dalla figura femminile, vero centro nevralgico da cui si origina il tutto.
Con Spose celestiali dei Mari di pianura (The Celestial Wives of Meadow Mari) - presentato in concorso alla settima edizione del Festival di Roma - Fedorchenko prosegue la ricerca a metà tra l'etnografico e il lirico già intrapresa con l'opera di due anni fa, tornando a scrutare con sguardo affascinato il misterioso popolo dei Mari, e insistendo nuovamente sui temi divenuti ormai snodi cruciali della sua poetica: da una parte la dimensione corporea e carnale, nella quale riveste appunto un'assoluta centralità il ruolo della donna; dall'altra l'attenzione nei confronti di una realtà trascendente e spiritualista, che trova la sua esemplificazione nella religione animista e panica dei Mari, ma anche nelle sue leggende e superstizioni.Dal punto di vista formale e strutturale, tuttavia, non sono poche le differenze stilistiche rispetto all'opera precedente. Mentre Silent Souls era tutto concentrato in uno spazio e in un tempo limitato, popolato da uno sparuto numero di caratteri, all'opposto Spose celestiali dei Mari della pianura si sviluppa secondo la figura retorica del frammento, presentandosi come un caleidoscopio di racconti brevi (ben ventidue), caratterizzati da un'estrema varietà di generi e di toni che oscillano dal dramma alla commedia, dal farsesco al poetico, dal grottesco al pseudo-documentaristico; il cui unico elemento comune risiede appunto nella figura femminile e nella dimensione fantastica degli episodi. Non esiste una vera e propria trama unitaria, si tratta piuttosto di una collezione di bozzetti, impressioni, a volte solo della durata di qualche secondo, che raccontano delle storie in modo laconico e frammentario, a volte soltanto con pochi gesti o sguardi. Si dischiude agli occhi dello spettatore un mondo favolistico, in cui fanno capolino stregoni, spiriti vendicativi, mostri dei boschi, morti viventi, e maledizioni dagli esiti a volte esilaranti (come un chiurlo annidatosi in una vagina), esaltato da una fotografia ovattata e da scenari naturali dotati di un fascino abbacinante. A dominare è la Natura nel suo complesso - sia essa incarnata in una foresta intricata e lussureggiante, oppure nelle morbide e accoglienti rotondità di una donna - nell'ottica di una visione panica in cui tutto ciò che ci circonda è vivo e pulsante, anche quello che non riusciamo a vedere coi nostri occhi. Spose celestiali dei Mari di pianura è un'opera di ammaliante bellezza, che vive di emozioni e di sensazioni momentanee piuttosto che di razionalità.