Non sarà una sventura
C'è solo una persona al mondo in grado di ammaliare anche la più insolita delle platee e quella persona è Peppino Di Capri. "Peppino Di Capri è mondiale!!!", urla soddisfatto il protagonista di Sono un pirata, sono un signore, mentre una coppia di anziani coniugi africani, i genitori di uno dei suoi carcerieri, intona Luna caprese. Seguendo metaforicamente le orme del celebre cantante, Eduardo Tartaglia aspira con la quarta regia a quel successo universale che è familiare solo ai grandi artisti e per sbarazzarsi dall'etichetta di comico regionale, troppo stretta per uno con il suo curriculum, scrive con Elvio Porta un'opera senza frontiere, arrivando a destinazione con troppi inciampi. Catello è un marittimo napoletano che non ha più nulla da condividere con la moglie; in crociera ci va soprattutto per sfuggire alla routine di un matrimonio noioso e a quei parenti ormai stufi di dover anticipare tutte le feste comandate. Giulio (Francesco Pannofino) è un professore universitario, esperto di biologia marina, spedito in Africa assieme all'assistente Mirella (Giorgia Surina), nipote di un sottosegretario, per compiere un'importante ricerca scientifica. Stefania, infine, è la regina dello shatush, una parrucchiera strozzata dai debiti e in apprensione per un padre anziano e indifeso (Ernesto Mahieux). Quando una collega le propone di prendere il suo posto al seguito di una nobildonna eccentrica, si trova costretta ad accettare. Per motivi diversi, quindi, si ritrovano tutti e quattro nel Continente Nero e finiscono nelle mani di un gruppo di pirati che chiedono un riscatto di quindici milioni di euro. La convivenza forzata, il confronto con degli aguzzini tutto sommato pacifici, regalerà ad ognuno di loro una nuova consapevolezza, spingendoli a compiere delle scelte importanti e a prendersi qualche rivincita.
Con tutta la benevolenza che si può provare verso un film non paragonabile ad altri prodotti simili, scadenti e dozzinali, esso è destinato a perdere la propria partita, mostrando crepe sostanziali nella gestione dei tempi del racconto cinematografico. Costruito per risolvere ogni dialettica - borghesi e proletari, vittime e carnefici - in un abbraccio democratico e solidale, lo script tira alla lunga alcune situazioni trasformando il cuore del racconto, ovvero la prigionia degli ostaggi, scandita da una sempre più profonda conoscenza reciproca, in una serie infinita di logorroici duetti che non fanno altro che rallentare il ritmo narrativo, dilatandolo fuori misura; quasi come se ci fosse poco da dire, insomma, e quel poco dovesse essere oltremodo allargato. Scritta con la verbosità di quei vecchi avvocati che per sostenere le proprie tesi ubriacano i giudici con un profluvio di sinonimi, aggrappandosi ad una sintassi arzigogolata, la commedia non vola mai alta e si accontenta di divertire ad un livello puramente epidermico. Ciò nonostante il lavoro del commediografo di San Giorgio a Cremano si distingue per un certo brio nelle battute, supportato in questo da un interprete di razza come Maurizio Mattioli (il cognato di Catello) e dalla veracità della brava Veronica Mazza, perfettamente in grado di valorizzare la metrica e la foga del dialetto partenopeo. Com'è naturale che sia, considerato il background del regista, un animale da palcoscenico, cresciuto al cospetto dei grandi interpreti della scuola eduardiana, dal punto di vista drammaturgico sono proprio i dialoghi l'aspetto più interessante dell'opera, quando, però, non sono indeboliti dalla banalità del luogo comune. Piacerà tantissimo al "suo" pubblico, insomma, quello che lo ha promosso sul campo facendo diventare un cult opere come La valigia sul letto, ma forse all'autore Tartaglia manca ancora qualcosa per oltrepassare i confini della Campania e conquistare l'Italia intera.
Movieplayer.it
2.0/5