Uomo e cane, due specie unite da millenni di storia condivisa, percorsa fianco a fianco per collaborare nei più disparati compiti della vita quotidiana. Uomo e cane... O cani, perché tante sono le declinazioni di quella semplice parola e di quel complesso animale, quanti sono gli incarichi che nel tempo il cane, o i cani, hanno eseguito con dedizione e precisione. Accolti, selezionati ed addestrati per essere infaticabili lavoratori, sempre al nostro fianco. Usati sempre, rispettati meno.
Siamo un po' sognatori, ma non certo fuori dalla realtà e sappiamo che buona parte dei nostri migliori amici a quattro zampe hanno parenti più o meno lontani che non hanno fatto, o fanno, la vita agiata o quantomeno dignitosa che meriterebbero. Lo comprendiamo, ma non lo accettiamo. È per questo che ci è difficile parlare con asettica freddezza di Sivas, lungometraggio di Kaan Mujdeci in concorso alla 71ma edizione della Mostra del cinema di Venezia. Un film che mette in scena con insistenza i combattimenti tra cani nelle campagne della Turchia orientale, senza riuscire ad andare oltre di essi e trasmettere il messaggio che vorrebbe comunicare.
Un destino da guerriero
Il Sivas del titolo è uno di quei cani a cui abbiamo accennato poco sopra, con la sfortuna di essere nato in un luogo in cui la sua razza non è vista nè come utile strumento per compiere un lavoro, che sia di pastore, guardia o caccia, né di mero compagno per la vita quotidiana. Nell'Anatolia del film i cani sono armi, combattenti, lottatori. Sivas è uno di essi, sconfitto e lasciato per morto dai suoi padroni con un acceso combattimento.
Recuperato dal piccolo Aslan, ci si illude che il ragazzino lo voglia per crescere e giocare con lui, come farebbe uno dei bambini medi del nostro mondo occidentale. Ma non è così, perché Aslan è figlio della cultura in cui è cresciuto, è duro, maschilista e arrogante, decide di accoglierlo soprattutto per tenere a bada l'invidia nei confronti dell'amico e del suo cane e non passa molto tempo prima che faccia di Sivas anche il suo lottatore, portandolo a diventare campione turco.
Un bambino e il suo cane
Aslan è il prodotto dell'ambiente in cui vive e, come Sivas, non ha molte possibilità di cambiare il proprio destino. Questo vuole dirci l'autore, che ci mostra la vita del bambino, la sua quotidianità tra scuola e delusioni, non per ultima la gelosia per Ayse, la ragazzina più ambita del villaggio, e per un ruolo nella rappresentazione teatrale di Biancaneve e i sette nani, fino all'incontro con l'animale ferito di cui decide di prendersi cura. Ma Aslan non lo fa con la tenerezza e l'innocenza da bambino, piuttosto con la consapevolezza di aver trovato l'arma con cui combattere a sua volta, per rivalersi dell'amico che invidia e del prossimo in generale, per far colpo su Ayse che sembra orientata più per l'altro ragazzo del villaggio, Osman.
Non si prova empatia né per la storia né per il bambino interpretato dal giovanissimo Doğan İzci in un racconto messo in scena senza pathos, mostrando, per noi che siamo cinofili oltre che cinefili, fin troppo dei cruenti combattimenti di Sivas. Il regista turco dedica molto tempo alla messa in scena degli scontri, ma senza ottenere l'effetto sperato, provocando un fastidio che causa distacco piuttosto che partecipazione alla storia narrata. Allo stesso tempo, rendendoli centrali alla narrazione, distoglie l'attenzione da quello che li circonda, dai tempi e le abitudini del villaggio e dei suoi abitanti, che restano come figure sullo sfondo che si fa fatica a mettere a fuoco. Fallisce, quindi, nel raccontare la società e la cultura in cui Sivas è ambientato, che traspare solo a tratti senza lasciare un segno nello spettatore.
Conclusione
Con la sua eccessiva attenzione alle sequenze di lotta tra Sivas ed i suoi avversari, Kaan Mujdeci non riesce a costruire un film capace di emozionare e raccontare la realtà delle regioni in cui è ambientato. Lascia invece un senso di fastidio ed il rammarico di un argomento che avrebbe meritato trattamento migliore.
Movieplayer.it
1.5/5