Recensione Shell (2012)

Shell è insieme un film d'amore e una profonda riflessione sul divenire adulti, sul sacrificio e sul destino, e il cinema di Scott Graham è un cinema asciutto, fatto di sottrazioni e che vive di silenzi, di sguardi, di parole non dette e di segreti inconfessabili.

Lost in the Highways

Dopo averci deliziato con i paesaggi e con i due protagonisti di Either Way, il divertente film islandese vincitore della scorsa edizione, il Torino Film Festival ci sorprende in concorso quest'anno con un film che affronta il tema della simbiosi tra uomo e paesaggio. Parliamo di Shell, il lungometraggio d'esordio del regista scozzese Scott Graham che prende spunto dall'omonimo corto da lui stesso realizzato nel 2008 e ci racconta con estremo realismo e rara sensibilità un dramma familiare fatto di solitudine e privazione incentrato sul potere vincolante che un luogo può avere sulle anime delle persone che lo abitano.

Siamo nel cuore delle sconfinate highlands scozzesi, è qui che un padre insieme alla figlia diciassettenne Shell vivono e gestiscono una piccola stazione di servizio costruita in mezzo al nulla. Abbandonato dalla sua donna quando la figlia aveva solo quattro anni, Pete ha cresciuto Shell in una sorta di cattività, rappresentando per lei l'unico contatto umano che è possibile coltivare nella desolazione che li circonda. A scandire i giorni che passano lenti le vibrazioni delle mura al passaggio dei tir, i pasti consumati fugacemente e in silenzio e qualche cliente di passaggio che si ferma per il rifornimento. Ma è tra le mura domestiche che si consuma il dramma: Pete non riesce ad accettare di dover dipendere dalle cure della figlia per via della sua epilessia ed ha scelto di risarcire la ragazza dedicandosi a lei rinunciando a tutto il resto. E poi c'è il dramma di Shell, una giovane donna combattuta tra l'amore per il padre e l'amore per se stessa, che lotta ogni giorno con la sua voglia di amare, con la paura di un futuro incerto ed il terrore della solitudine perenne di una vita già vissuta e probabilmente già scritta.

Il racconto di Graham si nutre della forza naturalistica degli ostici paesaggi scozzesi per raccontare un universo familiare avulso dal mondo civilizzato, un microcosmo sospeso nel tempo e nello spazio in cui un padre e una figlia vivono il loro tempo in maniera quasi rassegnata, coscienti del fatto che non è possibile per loro immaginare una vita diversa da quella che stanno vivendo e che non è possibile vivere d'amore quando esso non è sinonimo di libertà. Shell è insieme un film d'amore e una profonda riflessione sul divenire adulti, sul sacrificio e sul destino, e il cinema di Scott Graham è un cinema asciutto, fatto di sottrazioni e che vive di silenzi, di sguardi, di parole non dette e di segreti inconfessabili, un cinema attaccato ai volti e ai gesti di due straordinari protagonisti, Chloe Pirrie e Joseph Mawle, per i quali non si può far a meno di parteggiare. Un'opera dolente che scuote nel profondo e che il regista (anche sceneggiatore del film) costruisce in maniera accattivante usando gli stessi meccanismi del thriller per tenere lo spettatore in tensione fino all'ultima inquadratura, avvolto nell'incertezza su quel che accadrà. Poi la scena finale, liberatoria e catartica, di quelle che alleggeriscono il respiro e restano dentro a lungo.

Movieplayer.it

4.0/5