Il pericolo numero uno, la donna
Secondo il giornalista e scrittore americano Alex Haley "la famiglia è un collegamento con il nostro passato e un ponte verso il futuro". Dello stesso parere, però, non è il giovane Andrea che, oltre a non aver mai firmato un bestseller della letteratura come Radici, si trova a dover far fronte ad un vero e proprio esercito di donne pronte a rendergli la vita impossibile. Per lui il passato e presente sono rappresentati da una parentela totalmente al femminile che, con una pressante presenza, rischia di rendere inesistente il suo già precario futuro. A capeggiare questa minaccia in gonnella è la madre Vittoria che, dopo essere stata strategicamente abbandonata dal marito per semplice spirito di sopravvivenza, ha esasperato una naturale attitudine al comando e al controllo. I suoi ordini non prevedono spazio per alcuna discussione e, a fare le spese di questo atteggiamento marziale, è soprattutto il portiere dello stabile Marcello, segretamente, non poi nemmeno tanto, innamorato di lei. Seguono a ruota per follia, egoismo e superficialità le tre sorelle maggiori di Andrea: Beatrice, Veronica e Federica. La prima, affetta da manie di protagonismo e perfezione, viene abbandonata sull'altare da un futuro sposo giustamente spaventato dalla sua necessità di primeggiare in ogni specialità. La seconda, femminista convinta ed esasperante, si trova invischiata in un rapporto con un uomo sposato, mentre la terza vanta con sbadataggine un numero infinito di fidanzati che perde lungo la strada senza alcun rimpianto.
A chiudere le fila è la nonna Matilde, ex professoressa di matematica ormai un po' svanita e affidata alle cure della badante Bogdana dal discutibile gusto per la moda. Al centro di questo uragano femminile si trova Andrea che, nel disperato tentativo di far sopravvivere una già precaria vita sentimentale, deciderà di "aggiustare" le sue donne. Ed è così che Fausto Brizzi, regista che predilige lavorare per tematiche generaliste, è tornato al cinema proponendo una visione parziale, deformata e anche piuttosto scontata delle gioie e dei dolori racchiusi nel matriarcato. Dopo aver accantonato gli adolescenti di Notte prima degli esami, gli Ex, i vari Maschi contro Femmine, trasformato poi nell'immancabile Femmine contro Maschi, e aver esplorato la noia sessuale dei quarantenni con Com'è bello far l'amore, Brizzi non poteva certo farsi scappare la possibilità di cavalcare tutti i luoghi comuni possibili costruiti intorno alla famiglia e alle donne che la compongono. Posto che nella realtà italiana la madre rappresenti un fulcro eccessivamente indiscutibile, il film Pazze di me riesce nel tentativo di tratteggiare delle protagoniste completamente prive di anima e concretezza. Perché il problema di questo film non è tanto l'attitudine alla misoginia dimostrata dal suo autore che farebbe nascere un rigurgito di fervore femminista anche tra le più insospettabili, quanto la grossolanità di una scrittura a molte, forse troppe mani, condivisa con Marco Martani e Federica Bosco. Il trio, oltre a non essere riuscito a rendere onore allo scopo naturale di una commedia, ossia intrattenere con allegria, affida l'andamento della narrazione a dei personaggi che scambiano l'esasperazione di tic comportamentali nella rappresentazione di un carattere. In questo modo ogni protagonista, senza fare alcuna distinzione tra l'interpretazione quasi inesistente di Francesco Mandelli e quella sicuramente più professionale di un'insolita Loretta Goggi, porta evidentemente i segni di uno sguardo che, oltre ad essere naturalmente personale, è soprattutto socialmente e globalmente parziale. Perché, tanto per rimanere fedele nella tradizione del suo cinema, Brizzi non riesce a definire e raccontare nessuna storia, fallendo ancora una volta nel riconoscere e riportare i vizi di un italiano medio sempre più maltrattato e ignorato dal cinema che dovrebbe rappresentarlo.
Movieplayer.it
2.0/5