Recensione Paradise: Hope (2013)

Nel terzo film della trilogia Paradise, Seidl indaga il mondo dell'adolescenza attraverso la figura di Melanie, tredicenne cicciottella alle prese con il primo amore, impossibilitato a esprimersi dalla differenza d'età.

Tredici anni per amare e sperare

E' con la speranza che si chiude la trilogia di Ulrich Seidl, iniziata con Paradise: Love e proseguita con Paradise: Faith, ma se la giovane Melanie, protagonista di quest'ultimo episodio, guardasse al futuro senza troppo entusiasmo non ci sarebbe nemmeno da biasimarla troppo. Ignorata da quella madre che nel primo film della serie si dedica al turismo sessuale, la tredicenne viene parcheggiata dalla zia, la fervente religiosa già protagonista del secondo, in un campo estivo il cui scopo è quello di rimettere in linea adolescenti un po' troppo pasciuti. Durante la sua permanenza, Melanie si farà delle amiche e degli amici, ruberà dei dolci dalla cucina, salvo essere scoperta poco dopo dal tirannico insegnante di educazione fisica, evaderà per passare una serata in un locale, dove un ragazzo la farà ubriacare in modo da tentare di approfittarsi di lei.

Esperienze ed errori comuni a molti tredicenni, così come è comune a molti tredicenni imbattersi nel primo amore. Nel caso di Melanie, però, il primo amore non è il compagno di banco o il ragazzino conosciuto in vacanza: è il medico del campo, un distinto signore di mezza età, affabile e cordiale, che sulle prime sembra trattarla, unico tra le figure dirigenziali della struttura, con una rassicurante simpatia. Melanie sa che il suo amore è senza speranza, ma nonostante questo le sue notti sono piene di discussioni con l'amica del cuore: su come dovrebbe vestirsi o farsi i capelli, sul perché lui la ignori, su come tentare un approccio. Già di per sé, il momento dell'adolescenza non è dei più semplici, ma, se sei una tredicenne cicciottella innamorata di un uomo che potrebbe essere tuo padre, le cose si fanno ancora peggiori.
Seidl descrive con grande sensibilità il mondo di Melanie, tratteggiando con delicatezza i momenti più belli, come le confessioni imbarazzate con le amiche, gli scambi di consigli sui ragazzi, le festicciole clandestine organizzate in camera, e mantenendo sempre un profondo rispetto per la sofferenza della sua protagonista. Le sue lacrime mai esibite, il riserbo con cui rifiuta di confidare le proprie pene d'amore, gli abbracci chiesti in silenzio, pretesi con la determinazione che solo l'inconsapevolezza della giovane età ti può dare sono gli elementi attorno al quale il regista costruisce l'empatia dello spettatore per Melanie. Ma, allo stesso modo, riesce ad avvicinarci anche all'oggetto del suo amore, mettendo in scena il suo struggimento, la sua strenua lotta per non cedere alle goffe, tenere lusinghe della ragazzina, senza mai giudicarlo per la propria tentazione e, contemporaneamente, senza giustificare in alcun modo le sue pulsioni. Così come l'amore di Melanie è un fatto, lo è anche il tormento del medico, e Siedl si limita a descriverceli, perché, come aveva già portato alla luce nelle due pellicole precedenti, il nostro essere umani si compone anche di lati oscuri, di sofferenze, di contraddizioni.
E' con la stessa logica che il regista celebra l'aspetto fisico di Melanie e dei suoi compagni, mostrandoci senza inutili pudori i loro corpi lontanissimi dall'ideale, eppure, per questo, tanto più vivi e reali, in contrapposizione con uno scenario piatto, squallido, senz'anima come è quello del campo. Talmente senz'anima che nessuno dei ragazzi sembra mai fare particolarmente caso allo scopo per cui sono lì: sono solo ragazzi, né grassi né magri, né belli né brutti, solo dei tredicenni impreparati alla vita come lo siamo stati tutti, solo dei tredicenni che, attraverso lo sguardo tenero e sincero di Seidl, ci sembrano ancora molto vicini.

Movieplayer.it

3.0/5