Recensione Open Grave (2013)

Senza mai rinnegare le sue 'origini cinematografiche', il film si mantiene avvincente e vivo per tutta la sua durata, nonostante qualche caduta di ritmo e qualche didascalia di troppo nella parte conclusiva.

Le verità distorte

Cotto e mangiato, verrebbe da dire, o forse sarebbe meglio dire 'comprato e distribuito'. La Eagle Pictures brucia tutti sul tempo, anche gli USA, e fa uscire in Italia prima che in qualsiasi altro posto, il thriller-horror Open Grave, il terzo film low budget prodotto dalla Atlas Indipendent, ambientato in un imprecisato posto del mondo in un'epoca indefinita, che racconta l'odissea di un gruppo di sopravvissuti senza memoria catapultati in una casa immersa nel verde, in un luogo che nasconde segreti inconfessabili e odora di morte.


Tutto inizia con un risveglio senza memoria, quello di un uomo in una fossa comune piena di cadaveri in decomposizione. Dopo i primi istanti di terrore l'uomo viene soccorso da una misteriosa ragazza cinese che lo aiuta ad uscire dalla gigantesca tomba e poi fugge senza lasciare tracce. Dopo ore trascorse sotto la pioggia nella natura selvaggia alla disperata ricerca di aiuto, egli si imbatte in una grande casa al cui interno ci sono cinque persone, due donne e tre uomini, che come lui non ricordano né il proprio come né quello degli altri e ancor meno il motivo per cui si ritrovano tutti insieme in quel luogo surreale dimenticato dalla civiltà. Solo la ragazza orientale che l'ha salvato sembra conoscere le risposte e gli eventi di un passato che li coinvolge tutti, ma non solo la donna è muta ma non può comunicare neanche per iscritto perché conosce solo il cinese. Alla ricerca di risposte e di indizi che possano risolvere il mistero, il gruppo inizia ad ispezionare la casa e i suoi dintorni imbattendosi in sgradevoli sorprese e in incontri inattesi quanto ostili. Tra dubbi, ricordi che riaffiorano e macabre scoperte, la verità verrà pian piano a galla insieme alla malsana sensazione di essere loro stessi gli autori dell'orrore che li circonda. Il panico incombe, il tempo scorre veloce e il giorno 18, cerchiato sul calendario e iscritto ovunque, si avvicina inesorabilmente...

Girato interamente in Ungheria, Open Grave è il quinto film diretto dal promettente spagnolo Gonzalo López-Gallego, un intrigante puzzle narrativo apparentemente indecifrabile e avvolto da un fitto alone di paranoia che però non è interamente costruito sulla suspense e sulla paura come ci si potrebbe aspettare. Un ruolo importante lo giocano la ricostruzione della verità grazie agli indizi recuperati strada facendo, e tematiche sociologiche e filosofiche come la fiducia negli altri, l'identità individuale e di gruppo, la coscienza e i meccanismi che scattano nella mente umana quando essa viene resettata e non può essere guidata dai ricordi; tutti ingredienti che cambiano più volte le carte in tavola e la prospettiva da cui osservare gli eventi e le dinamiche tra i personaggi. Inizia come Buried - Sepolto, si evolve strizzando l'occhio a Memento e a The Village e si insinua sotto pelle ricordando, in maniera molto soft, gli orrori de Le colline hanno gli occhi per poi concludersi lasciando lo spettatore sull'orlo di un precipizio, come nel finale di una qualsiasi puntata di Lost. Senza mai rinnegare le sue 'origini cinematografiche' e sorretto da un ottimo cast, Open Grave si mantiene avvincente e vivo per tutta la sua durata, nonostante qualche caduta di ritmo e qualche didascalia di troppo nella parte conclusiva. Non mancano elementi di survival-movie con contaminazioni fantascientifiche, qualche strizzata d'occhio agli zombie e nemmeno l'uso di soggettive e di inquadrature dall'alto, ma nonostante qualche veniale difetto il film riesce a conservare un buon equilibrio e a scorrere in maniera godibile senza grossi inciampi fino al finale, momento in cui la storia compie un'inaspettata piroetta. Poco splatter, ma ben distribuito.

Movieplayer.it

3.0/5