Tre vite al massimo
Vale la pena guardare il film di Nony Geffen, Not in Tel Aviv, parallelamente ad un blockbuster come On the Road di Walter Salles. E' impossibile paragonare le due opere, totalmente differenti per impostazione e stile, ma quanto mai affini nei loro intenti. C'è il viaggio a fare da trait d'union, il percorso (non solo) spazio-temporale che coinvolge tre personaggi alla ricerca di qualcosa di importante, sia essa la libertà o il riconoscimento della propria identità. Tanto il film di Salles è massiccio e celebrativo, forzato nel voler seguire la traccia solcata da Jack Kerouac, quanto vivace, bizzarro e carico di non-sense è il lavoro di Geffen. Certo, va sottolineato per amor di cronaca, che l'esordiente regista israeliano è stato facilitato nel suo compito dal non 'dover' riportare sul grande schermo un romanzo chiave della letteratura contemporanea, usufruendo di una libertà pressoché totale; in ogni caso il suo è un punto di vista originale su un tema spesso banalizzato e semplificato.
Presentato all'ultimo Festival di Locarno, dove si è aggiudicato il Premio speciale della giuria Ciné+ Cineasti del presente, il film di Geffen è uno sgangherato road movie che prende le mosse dal licenziamento di un professore, Micha, mandato via per dei tagli al budget scolastico. Disperatamente deluso dalla vita, l'uomo 'rapisce' una studentessa, Anna, per rivalersi del torto subito. Tenuta in ostaggio in casa dell'uomo, la ragazza si lascia conquistare dai modi di Micha e decide di restare con lui e seguirlo nelle sue bizzarre avventure. La prima fermata di questo viaggio alla scoperta di sé stessi, infatti, è a casa della madre di Micha, una donna gravemente ammalata che chiede al figlio di essere uccisa. Pur a malincuore, Micha preme il grilletto e fugge disperato con la studentessa al seguito. Il secondo stop è alla pizzeria dove lavora la donna di cui è segretamente innamorato, Nony. Anch'ella senza prospettive, se non quella di continuare a tagliare e servire pizza agli avventori del locale del padre, sente subito una strana vicinanza con Micha e si unisce alla coppia in questa fuga dal mondo. Insieme creano una sorta di famiglia disfunzionale. Entrambe innamorate di Micha (ma solo Nony riuscirà ad intrecciare una relazione con lui), non si risparmiano in scenate di gelosia e lo supportano anche in situazioni ai limiti del paradossale, quando nell'abitazione dell'uomo piomba un amico che Micha tenta di far fuori. Il tono, dunque, non arriva mai ad essere drammatico, anche se non mancano i momenti forti (tuttavia, l'uccisione della madre resta fuori campo); Geffen, alla sua prima prova registica, privilegia uno humour grottesco che, pur con qualche intermittenza, permette allo spettatore di entrare nel mondo di questi personaggi così sopra le righe. Non tutto è perfetto un questo film, volutamente caotico, ma anche genuino nel suo slancio, che si snoda attorno ad una domanda chiave, ossia come si può definire il gesto ribelle di Micha? Se non è un rapimento, visto che le due 'vittime' lo hanno seguito a cuor leggero e senza paura, allora di cosa si tratta? Alla domanda il regista non sa o non vuole dare una risposta, preferendo soffermarsi su questo strano ménage à trois che lega i protagonisti, attratti fra loro da una misteriosa forza, un magnetismo che li trasforma quasi in un corpo unico. Le peregrinazioni tra le strade di Tel Aviv non hanno mai nulla di peccaminoso o politicamente scorretto: non sono assassini nati in fuga, ma solo tre 'anime' in pena per una realtà che non riesce a sposarsi con i propri sogni. Geffen ha saputo catturare questo aspetto, grazie ad uno stile insolito, ad un montaggio innovativo e soprattutto ad una fotografia in bianco nero che consegna la storia ad uno spazio altro; un modo incisivo per azzerare ogni realismo, mantenendo intatto lo spirito anarchico del racconto.
Movieplayer.it
3.0/5