Recensione Monuments Men (2014)

Il film è un'opera leggera, pervasa comunque da una riflessione continua sul valore dell'arte e naturalmente della vita umana.

Stealing Beauty

Conoscono la storia dell'arte meglio della propria vita e sono disposti a tutto pur di salvare centinaia di capolavori dalla distruzione; sono i membri della squadra dell'esercito americano impegnati nella tutela e nella salvaguardia di quelle opere che, durante le fasi finali della Seconda Guerra Mondiale, rischiavano di essere distrutte dai nazisti, alla caduta del Reich. Frank Stokes, James Granger, Rich Campbell e Walter Garfield lavorano alacremente per ritrovare quadri e sculture trafugate dai tedeschi e chiuse dietro le linee nemiche. Dall'Italia alla Francia, passando per la Russia, questo mucchio selvaggio sui generis lavora con la finezza degli artisti, sfruttando capacità e conoscenze conquistate in anni di studio, e la forza dei soldati per mettere le mani su tesori preziosi come la Madonna di Bruges di Michelangelo o il Campo di papaveri di Van Gogh che altrimenti sarebbero stati persi per sempre.


S come Storia
Per il suo quinto lungometraggio da regista, Monuments Men, presentato nella selezione ufficiale al 64.mo Festival di Berlino, George Clooney decide di lavorare su una pagina non conosciuta della storia contemporanea, rendendo omaggio a quegli uomini che durante il conflitto hanno messo a repentaglio la propria incolumità pur di salvare qualcosa di prezioso; le opere d'arte non sono solo un piacevole orpello della nostra vita, ma sono il simbolo più evidente della capacità umana di ricreare la realtà, emblema, insomma, di fantasia e creatività. Salvarle dalla barbarie significa salvaguardare quella parte di noi che non accetta la violenza. Ispiratosi al libro di Robert M. Edsel , Monuments Men. Eroi alleati, ladri nazisti e la più grande caccia al tesoro della storia, Clooney ha confezionato un film che rispetto ad altri della sua precedente produzione può apparire meno 'politico'; è in verità un'opera leggera, pervasa comunque da una riflessione continua sul valore dell'arte e naturalmente della vita umana. Clooney sa bene che a conquistare le prime pagine dei giornali sono quelli che trovano l'oro e non chi salva dalla distruzione un quadro di Picasso, per questo ci presenta un gruppo di persone che si mettono in gioco per un ideale supremo.

L'uomo dei monumenti
Se Robert Edsel non si fosse incuriosito e non avesse iniziato a investigare per conto suo sugli 'uomini dei monumenti', non avremmo mai conosciuto l'identità di questi eroi. A fine anni '90, durante un soggiorno a Firenze, lo scrittore americano scopre l'esistenza di questo reparto speciale dell'esercito e da allora compie un'incredibile opera di divulgazione sull'argomento, scrivendo il libro da cui il film è tratto, ma anche producendo documentari, uno dei quali, The Rape of Europa, è stato accolto in patria con grande interesse. Fondatore e presidente della Monuments Men Foundation for the Preservation of Art, Edsel ha raccolto nel tempo centinaia di testimonianze, documenti e fotografie relative a quelle imprese; tra i reperti più interessanti ci sono due grandi album fotografici rilegati, creati dall'Einsatzstab Reichsleiter Rosenberg (ERR), un'unità speciale di soldati del Reich che avevano scrupolosamente catalogato le opere d'arte europee, con un fine ben preciso: sfruttarle per guadagno. Il loro, insomma, era uno schema premeditato che faceva parte del progetto di conquista di una nazione. Non solo, ma i reperti trafugati sarebbero finiti nel museo personale di Hitler in Austria, in un trionfo di malata megalomania che ben si lega al personaggio in questione.
La guerra di George
E' un film con le facce giuste in ogni ruolo, che ha come unica pecca forse quella di voler troppo piacere al pubblico e così facendo risulta eccessivamente buonista. Per ammissione dello stesso autore, però, Clooney si è voluto allontanare dai toni 'dark' di lavori come Le idi di marzo, per abbracciare una storia luminosa di piccole e grandi rivincite, in cui non mancano i momenti gustosi (su tutti, la via crucis del povero Matt Damon, preso in giro per il suo modo di parlare in francese). Molto meglio in sostanza la parte più leggera in cui vengono valorizzati a dovere i tempi delle coppie in campo, come quella formata da Bill Murray e Bob Balaban e da Jean Dujardin e John Goodman. Meno riusciti i punti in cui il pathos prende eccessivamente il sopravvento, anche se, all'interno di un genere volutamente patriottico come il war movie classico, quello alla John Wayne per capirci, quasi non risultano fastidiosi.

Movieplayer.it

3.0/5