Donne all'inferno
Dorota si è appena diplomata ma la cittadina slovacca in cui vive non offre molte opportunità. Esausta per le continue pressioni di sua madre, che non fa che rimproverarla e dirle che non intende mantenerla, la ragazza decide di partire e lasciare la famiglia e il fidanzato per trasferirsi nella cittadina di Aš, che si pronuncia 'ash' come cenere, situata tra la Boemia occidentale e la Germania. Il suo obiettivo è trovare lavoro in una delle fabbriche tessili della zona, luoghi di speranza per migliaia di immigrati, in attesa che il fidanzato la raggiunga per vivere insieme. Ma la nostalgia di casa, la voglia di fare nuove amicizie e l'inesperienza non la aiutano a svolgere al meglio il lavoro assegnatole e a poco tempo dall'assunzione Dorota viene licenziata. Senza soldi per tornare a casa e senza un tetto sopra la testa la ragazza dovrà accontentarsi di quello che riuscirà a rimediare girando per le strade insieme alla sua nuova amica Silvia, nella speranza di non incappare in qualche guaio e di non finire nelle mani sbagliate. Ci vuole un niente, quando si è soli e disperati, a ridurre un sogno a lungo inseguito in un cumulo di cenere. Lo sa bene Silvia, che pur di rimediare qualche banconota è disposta a vendere l'amica nei locali in cui i tedeschi, soprattutto quelli di una certa età, vanno in cerca di sesso a buon mercato. Inizierà così la lenta discesa di Dorota negli inferi dello squallore, un viaggio che la renderà schiava dei suoi stessi desideri.
Finzione, documentario e disegni animati, tre anime che convivono appassionatamente in Made in Ash, il cupo lungometraggio d'esordio della documentarista slovacca Iveta Grófová nominato come rappresentante della Slovacchia agli Oscar 2013. La finzione racconta il calvario di una ragazza in cerca di un futuro, il documentario indaga attentamente su luoghi dimenticati dalla civiltà e sulle atmosfere opprimenti, l'animazione materializza i sogni d'amore e gli incubi irrequieti di Dorota. Il fil rouge tra i tre linguaggi è rappresentato dall'ostinazione della protagonista, che cerca in tutti i modi di non mollare, di fare in modo che i suoi sogni non debbano cedere il passo ad una vita da schiava al fianco di un uomo ricco e anziano disposto a comprare la sua libertà. Quello raccontato dalla regista, con uno stile dinamico, asciutto e minimalista, l'uso di camera a mano ed una fotografia sporca e sgranata, è un viaggio negli inferi di una generazione di donne costrette a vivere il fenomeno dell'immigrazione come una condanna, donne costrette a vendersi per fuggire da una realtà che rende impossibile sognare un futuro e una vita dignitosa. Quasi interamente interpretato da non-attori, il film gioca molto sull'esasperazione di personaggi e situazioni sgradevoli per restituire sullo schermo un disagio conosciuto da vicino lasciando addosso allo spettatore un fastidioso senso di impotenza e di disgusto che lo spinge ad andare oltre il giudizio superficiale: quale scelta può definirsi immorale in un contesto alienante in cui si cerca semplicemente di sopravvivere?Movieplayer.it
3.0/5