Avete presente cosa intendiamo quando definiamo un film "piccolo miracolo cinematografico"? Un'opera sorprendentemente ben scritta e diretta nonostante sia stata realizzata con mezzi limitati. Lo chiamavano Jeeg Robot ne è l'esempio più recente. Ecco, L'età d'oro di Emanuela Piovano è esattamente il contrario. Con il debutto di Gabriele Mainetti il film della regista torinese condivide solo il povero budget di partenza, dopodiché tra regia, sceneggiatura e recitazione, il livello di quest'opera è palesemente amatoriale.
La protagonista di questo guazzabuglio è Arabella (Laura Morante), un'ex regista amatissima dalla comunità pugliese dove aveva fondata un'arena cinematografica che rappresentava un'insostituibile punto di ritrovo per cinefili e non. Se il suo fascino le garantisce l'amore e l'amicizia di tutta la sua troupe, di giornalisti e studenti, per il figlio Sid (Dil Gabriele Dell'Aiera) sarà molto difficile trovare un punto di contatto con questa madre così egocentrica e pasionaria. In seguito alla sua scomparsa, l'affettuosa compagnia di collaboratori di Arabella tenterà in tutti i modi di intervenire affinché Sid conservi un bel ricordo di lei e comprenda i motivi della sue scelte.
Un omaggio sentito ma sconclusionato
Quando un regista decide di realizzare un film metacinematografico la sua operazione è sempre molto intima e personale. Una dichiarazione d'amore che ci fornisce ancora più strumenti per capire e determinare le caratteristiche della sua arte. Le intenzioni della Piovano sono dunque apprezzabili e condivisibili ma non per questo degne di nota. Innanzitutto intitolare un film come questo, privo di una qualsiasi dimensione lirica o della benché minima ricerca stilistica, in riferimento Luis Buñuel, principale esponente del surrealismo, è una vera follia.
Inoltre, alla mancanza di una regia e di un montaggio solidi si aggiunge una scrittura talmente debole da far risultare ancor meno credibili delle interpretazioni già di per sé non esaltanti (in primis quella dell'esordiente Dell'Aiera). Giulio Scarpati, Giselda Volodi e Stefano Fresi provano ad apportare il loro contributo ma per causa di forza maggiore i loro tentativi si infrangono contro una sceneggiatura raffazzonata e fumosa. "La verità non è mai servita per far la spesa", è solo una delle tante battute poco brillanti che costellano dei dialoghi confusi e insipidi.
Radiografia di un amore
Dopo aver apprezzato la sensibilità di Emanuela Piovano nei precedenti Amorfù e Le stelle inquiete, ci sorprende constatare la maniera impersonale con cui sceglie di definire questo tormentato rapporto madre-figlio. Nonostante la carismatica presenza di Laura Morante, non c'è un solo momento di commozione nel racconto di questa relazione. La mancanza di emozioni è una delle pecche più clamorose per un film incentrato sull'amore più imprescindibile del mondo e la passione per la settima arte. L'età d'oro è tutto il contrario di tutto, terribilmente scollegato nella sua alternanza di registri, diegetico ed extradiegetico. Sia la macchina da presa fissa del primo, che quella più mobile del secondo, non aiutano a definire questo fallimentare campione di cinema sperimentale. Difficile entrare in empatia con i protagonisti, difficile recepire i loro turbamenti, impossibile convergere con un film così avulso dal concetto di cinema stesso.
Movieplayer.it
1.0/5