Recensione La prima neve (2013)

Liberando i suoi personaggi da conflittualità culturali, Segre lascia che l'ambiente circostante faccia da contro canto, imponendo difficoltà naturali e il confronto con un territorio sconosciuto che non è disposto a fare sconti

Le stagioni del cuore

Le cose che hanno lo stesso odore devono stare insieme, ma come riuscire a mantenere questa unione quando un uomo sembra aver perso contatto con la parte più intima e vera della propria natura? In questo caso non rimane che attendere la prima neve capace di cancellare dubbi e "pulire" la mente con il suo candore abbagliante. Questa è la situazione di emergenza in cui si trova a vivere Dani, profugo libico che, dopo essere arrivato in Italia attraverso uno dei molti viaggi della speranza, è ospite di una casa accoglienza in un piccolo centro del Trentino. Accolto dalla comunità e rispettato dal vecchio Pietro, l'artigiano falegname per cui lavora, l'uomo non sembra vivere il problema dell'integrazione ma porta dentro di se il dolore di una perdita che gli impedisce di essere il padre di una bambina inconsapevole. Spesso, però, la sofferenza diventa sopportabile e comprensibile quando si trova qualcuno con cui condividerla, anche tra il silenzio di boschi sterminati. Compagno imprevisto di questo viaggio dell'anima è Michele, un ragazzino costretto a confrontarsi con l'improvvisa mancanza di un padre, l'incomprensione di un evento ingiusto e la necessità di addossare colpe inesistenti pur di dare ragionevolezza a qualche cosa che evidentemente non ne ha.


Andrea Segre sembra intrattenere con il Festival di Venezia un rapporto di amorosi sensi, non fosse altro per il consenso che la manifestazione gli ha riconosciuto durante la sessantottesima edizione. Così, dopo aver vinto il Premio Fedic per la sua opera prima Io sono Li, presenta due anni fa nella sezione Le giornate degli autori, il regista prova nuovamente l'impresa, questa volta partecipando al concorso di Orizzonti con il film La prima neve. L'escamotage narrativo, anche in questo caso, sono le speranze e le difficoltà di un popolo di immigrati ma, a differenza di quanto realizzato nel primo lungometraggio, l'estraneità del suo protagonista ha il compito di definire un percorso intimo, tralasciando qualsiasi riflessione strettamente sociale. Anzi, liberando gli uomini da conflittualità culturali, Segre lascia che l'ambiente circostante faccia da contro canto, imponendo difficoltà naturali e il confronto con un territorio sconosciuto che non è disposto a fare sconti. Da qui si comprende la scelta di un piccolo centro come quello di Peregine e delle valli del Trentino che, pur non manifestando ostilità, hanno comunque lo scopo di mettere in scena il disorientamento che nasce dall'estraneità.

Così, immerso nel silenzio del sottobosco e osservando la natura che con costante lentezza va mutando il proprio aspetto, l'attore Jean-Christophe Folly dà corpo ad un personaggio completamente immobile nell'incomprensione del proprio dolore cui si contrappone la costante iperattività di un ragazzo in evidente negazione. Entrambi, attraverso molti silenzi e pochi dialoghi, danno corpo alla tematica della perdita che, nonostante non brilli per originalità, in questo caso ha il merito di assumere una forma essenziale priva di accenti esageratamente drammatici. Certo, bisogna dire che le regole della drammaturgia, scritta e visiva, vengono rispettate da Segre fin nel minimo dettaglio mettendo insieme elementi come la morte, la paternità mancata e il senso di colpa capaci di privare questa seconda esperienza dietro la macchina da presa di quella poetica asciutta con cui aveva tratteggiato il ritratto dei nostri tempi in Io sono Li. A suo merito, però, bisogna chiarire che in questo caso il regista non ha alcuna intenzione di puntare la telecamera su di una realtà più ampia, ma, volendo seguire una evoluzione intima e personale, ha fatto del singolo uomo e delle sue infinite mancanze il centro stesso dell'universo cinematografico. Un protagonista imperfetto destinato a specchiarsi nella sofferente crudeltà di un ragazzo e di una natura in costante evoluzione dal quale riceverà la lezione più importante, ossia che cambiare forma è necessario per continuare a vivere.

Movieplayer.it

3.0/5