Ma' Rosa: Brillante Mendoza contro la corruzione della polizia filippina. Ancora una volta.

Un passo indietro sia dal punto di vista estetico che da quello dei contenuti per il regista filippino che qualche anno fa era uno degli autori più coraggiosi del panorama festivalierio, ma che con questo Ma' Rosa scivola nel déjà vu.

C'è stato un momento in cui il filippino Brillante Mendoza era diventato non solo un habitué di Cannes e Venezia, ma anche uno dei registi più estremi e coraggiosi del panorama internazionale. Film come Serbis o Kinatay avevano scosso il pubblico del festival francese e guadagnato gli allori delle giurie (il secondo vinse addirittura io premio per la miglior regia nel 2009) con ritratti vitali, caotici e spesso brutali delle favelas filippine.

Ma' Rosa: un momento del film
Ma' Rosa: un momento del film

Negli anni successivi (con Lola o Thy Womb, entrambi in corsa per il Leone d'oro) il regista sembrava aver cambiato stile ed aver scelto un cinema più lirico e drammatico, più europeo se vogliamo, a discapito di quella ferocia e quell'urgenza che aveva caratterizzato le sue opere più celebrate e discusse. Per il ritorno in concorso a Cannes con questo Ma' Rosa sarebbe stato lecito aspettarsi un ritorno a quei temi, magari unendo anche l'estetica più ricercata degli ultimi film, ma invece questa nuova opera sembra rappresentare un vero e proprio passo indietro sotto tutti gli aspetti.

Per qualche piso in più

Ma' Rosa: una scena del film
Ma' Rosa: una scena del film

La storia che Mendoza ci vuole raccontare è questa volta estremamente semplice e lineare: la Ma'Rosa del titolo è la proprietaria di un negozietto di periferia che in realtà usa come copertura per spacciare droga; una sera irrompe la polizia che arresta lei e il marito, li porta in una squallida stazione e li costringe, sotto minaccia di mandarli in galera senza possibilità di cauzione, prima a fare il nome del loro fornitore e poi a trovare 50000 piso per pagare il "disturbo" degli agenti coinvolti. A quel punto sono i tre figli maggiori a dover cercare, con ogni mezzo, i soldi per liberare i propri genitori: vendendo mobili e oggetti che hanno in casa; chiedendo prestiti ad amici e parenti; perfino vendendo il proprio giovane corpo.

Un immagine del film Ma' Rosa
Un immagine del film Ma' Rosa

Lo scopo del regista è evidente, è quello di denunciare la corruzione endemica delle forze dell'ordine del suo paese ma anche la mancanza di principi etici della società in cui vive, e bisogna ammettere che ci riesce piuttosto bene, perché l'immagine che ne viene fuori è quella desolante di un paese senza ordine e senza speranza, in cui vale solo la legge del più forte, o quantomeno del meno debole. Nessuno, polizia in primis, sembra mai essere alla ricerca di una qualche giustizia, ma semplicemente accetta quello che gli viene imposto e agisce di conseguenza, senza nemmeno avere il tempo di porsi qualche domanda. Il problema è che lo stesso Mendoza aveva più volte affrontato lo stesso tema e l'aveva fatto con maggiore forza ed originalità, e quindi anche nei migliori momenti, questo questo Ma' Rosa non fa altro che riproporre situazioni già viste.

Neorealismo alla filippina

Anche dal lato estetico si tratta di un ritorno alle origini, allo stile dei lavori che l'hanno reso "famoso": camera a mano e lunghi piani sequenza, riprese nervose, traballanti e spesso scure in un digitale sporco che sembra lontano mille anni da quello a cui ormai siamo abituati. Si tratta evidentemente di una scelta voluta ed atta ad immergerci nel caos delle strade e dei vicoli di Manila, a volte così stretti che nemmeno i taxi sono disposti ad entrarci; una scelta che , nel circondarci di voci, pioggia e volti, rende perfettamente quel senso di oppressione e di assenza di via d'uscita che provano i protagonisti. Il problema è che dopo la prima mezz'ora, bella e potente, in cui questi elementi emergono e risaltano al meglio, anche qui la sensazione di deja vu è troppo forte.

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Anche perché, come ben sa chiunque conosca il cinema di Mendoza, questo stile sporco può essere affascinante ed ipnotico ma anche molto sfiancante: per quanto a volte difficile da mandare giù, seguire i personaggi senza alcun motivo apparente può andar bene nel momento in cui questa stanchezza viene comunque ripagata da almeno una sequenza che giustifichi l'esistenza di tutto quello che è venuto prima - ci riferiamo, per esempio, all'oltre mezz'ora di schermo quasi completamente nero di Kinatay in cui si sentono solo lamenti di una donna; non funziona invece se, come in Ma'Rosa, la storia e il significato della stessa è così semplice, così essenziale. Così banale. Se, insomma, lo stesso identico film l'avesse potuto realizzare senza "punire" inutilmente lo spettatore; perché alla fine di questo Ma'Rosa l'impressione è proprio quella, che i corrotti la fanno franca, ed averne pagato le spese siamo stati soltanto noi.

Movieplayer.it

2.5/5