Recensione Charlie's Country (2014)

Rolf De Heer torna al fianco dello straordinario David Gulpilil per raccontare le condizioni degli aborigeni in Australia in una terra che riconoscono come loro ma che è governata dalla cultura e dalle leggi altrui.

La rivolta di Charlie

In fondo Charlie, aborigeno australiano sessantenne, non ha nulla contro gli uomini bianchi che hanno installato uffici e stazioni di polizia nel suo villaggio nei pressi di Darwin. Certo non capisce perché non riescano a seguire la logica inappuntabile delle sue osservazioni, ma ci si può passare sopra, forse sono solo un po' tardi. Il problema sorge quando, improvvisamente, gli vengono richieste licenze e certificazioni per attività che ha sempre esercitato senza dover chiedere il permesso a nessuno, bianco o nero. Quando, da un giorno all'altro, non può più vivere nella sua terra come ha sempre fatto, perché ci sono leggi destinate al "controllo" di una popolazione che non ne ha alcun bisogno.

La ribellione di Charlie si manifesta prima con una fuga solitaria nel bush, per ritrovare le proprie origini e dimostrare a sé stesso che non ha bisogno dei supermarket e delle altre comodità introdotte dai coloni. Purtroppo non è più un ragazzino e si prende una brutta polmonite, finendo in un ospedale dove uomini bianchi che si spacciano per medici lo trattano come uno straniero. Uscito dall'ospedale, Charlie si dedica a una opposizione etilica, in sfida alle leggi che limitano l'accesso agli alcoolici per gli aborigeni. Di qui al carcere, il passo è breve, e il nostro eroe potrà vantare di aver scontato una pena per il delitto di essere indigeno.

Stranieri a casa propria

Pur nei suoi paradossi, Charlie's Country, il film in cui Rolf De Heer torna a collaborare con il famoso attore e ballerino cerimoniale David Gulpilil, che ha diretto già in 10 canoe e The Tracker, è una riflessione lucida e accurata sulla condizione odierna degli aborigeni in buona parte dell'immenso continente australiano. A metà strada tra l'autodeterminazione e l'integrazione c'è una condizione di spaesamento e di abuso, con un'intera popolazione costretta ad assoggettarsi a una cultura, a leggi e a usanze in cui non può riconoscersi: conseguenza di questa perdita di identità sono proprio i comportamenti che poi le autorità pretendono di "amministrare".

Charlie's Country: David Gulpilil nei panni di un anziano aborigeno in una scena del film
Charlie's Country: David Gulpilil nei panni di un anziano aborigeno in una scena del film

La chioma del cacciatore

Gulpilil, che ha già raccontato e mostrato molto di sé stesso nei suoi precedenti lavori, con o senza De Heer al timone, qui ha un ruolo decisivo anche nella stesura della sceneggiatura, anzi, nella concezione stessa del film, tanto prepotentemente gli appartiene. Oltre a una notevole presenza scenica tragicomica, Gulpilil dimostra doti da attore consumato, soprattutto nella sequenza, delicatissima e fortemente simbolica, della tosatura dei capelli e della barba prima della prigionia, l'ultimo insulto alla tradizione che Charlie deve subire prima di poter scontare la sua sentenza, e dopo quella tornare non più sconcertato, ma pienamente consapevole dell'ingiustizia subita, in quella che è e sarà sempre, nonostante tutto, la sua terra.

Conclusione

L'argomento di matrice antropologica di Charlie's Country è estremamente interessante, e il nostro cicerone talmente irresistibile che si perdonano volentieri a De Heer alcune lungaggini che appesantiscono il suo film.

Movieplayer.it

3.5/5