Duane Hopkins, quarantunenne regista britannico, è uno di quegli autori da tenere d'occhio. Noto al pubblico dei festival per la partecipazione alla Semaine de la Critique di Cannes nel 2008 con l'apprezzato Better Things, di cui potete vedere il trailer, Hopkins porta a Venezia, nella sezione Orizzonti, un film, Bypass , che colpisce per il rigore della messa in scena e per la sua capacità di essere riconoscibile e al contempo di innalzarsi dal realismo di un certo cinema inglese. Ambientata in una cittadina proletaria, la storia è quella di un giovane, Tim, cresciuto troppo in fretta.
Abbandonato dal padre, angosciato da una madre depressa, vede nel fratello maggiore, ex stella del calcio e ora criminale di mezza tacca, un eroe da imitare. Quando il fratello viene arrestato per furto, Tim dovrà accollarsi il peso della famiglia, composta anche dall'adolescente problematica Helen e non ci metterà molto a ficcarsi in guai molto grossi. Lilly, una bellissima ragazza innamorata di lui, che lo renderà padre, è l'unico appiglio di una vita difficile, resa ancor più complicata da una malattia misteriosa.
Very Free Cinema
Sono pochi gli elementi fondanti nella storia di Hopkins e tutti ci farebbero pensare ad un classico film di denuncia del degrado umano di un certo proletariato. Nulla di più sbagliato guardare a questo film con questo pregiudizio, perché il lungometraggio di Hopkins è un thriller avvincente che concentra la sua attenzione su un personaggio a un bivio. Il volto del londinese George MacKay è perfetto nell'incarnare i tormenti di un adolescente che nel momento più complesso della propria vita si trova a dover risolvere delle situazioni personali tutte fondamentali. Il rapporto con i genitori, ad esempio, figure fantasmatiche che tornano ciclicamente a "tormentarlo" e con un fratello, l'ottimo Benjamin Dilloway, cattivo maestro. Radiosa, invece, la presenza della protagonista femminile, Charlotte Spencer, che con la sua vitalità e vera affettività riesce a strappare Tim ad un destino di disperazione.
Giocare coi generi
Hopkins non spiega nel dettaglio la storia, ma lascia che siano gli spettatori ad unire i puntini e questo rende il film difficilmente fruibile nella parte centrale, ma l'originalità del suo sguardo, la capacità di giocare col genere thriller, trasformano la pellicola in un interessantissimo esperimento linguistico. Il regista è estremamente oggettivo nella messa in scena, in cui è assente ogni virtuosismo stilistico fino a se stesso, eppure sa distaccarsi da questo "realismo" per spiazzarci con un montaggio singolare, che mescola continuamente i piani temporali. L'effetto che ottiene è straniante e in certi momenti ostico, eppure è proprio questa la sua qualità maggiore. La corsa a perdifiato del protagonista per non farsi acciuffare dalla polizia è tecnicamente uno dei momenti migliori del film, emozionante a livello di pathos e della regia.
Conclusione
Bypass è la dimostrazione che la scuola cinematografica inglese non sa spingere solo sull'analisi di un certo mondo proletario, ma sa giocare con questi elementi, con stile innovativo; al netto di qualche lungaggine di troppo, l'opera di Duane Hopkins possiede una sua forza, anche grazie ad una messa in scena realistica, ma non piatta e ad un lavoro sul thriller non considerato solo come un genere, ma come vero e proprio detonatore di sentimenti umani.
Movieplayer.it
3.0/5