Dall'incubo per una sera si è passati al sogno. Il Ravenna Nightmare Film Fest, che l'incubo lo persegue fin dal suo titolo, per una sera, quella del 3 novembre, si è lasciato andare al sogno. Fellini fine mai, il documentario di Eugenio Cappuccio, rende omaggio a Federico Fellini, cineasta onirico e visionario per eccellenza. Nel centenario della nascita Ravenna non poteva non celebrare l'artista nato a pochi chilometri di distanza, a Rimini. Eugenio Cappuccio è stato l'assistente alla regia di Fellini in Ginger e Fred nel 1985, e ha seguito poi il Maestro in numerosi altri progetti. Questo documentario è un magico viaggio biografico nell'enorme repertorio cinematografico e nella vita di Federico Fellini, dall'inizio della sua carriera fino alla fine della sua vita. È un film che Eugenio Cappuccio rende soggettivo, raccontando in prima persona che cosa è stato per lui Fellini, e in questo modo lo rende vicino anche a noi. Fate attenzione: Fellini fine mai parte come un documentario abbastanza tradizionale, ma a metà svolta nell'immaginifico, quando entra nei progetti incompiuti di Fellini, quei film che non abbiamo mai visto, come Viaggio a Tulum e Il viaggio di G. Mastorna, detto Fernet. Attraverso i disegni di Milo Manara, la rievocazione della preparazione dei film, la testimonianza di chi c'era, Cappuccio crea un film nel film e prova a farci immaginare il non visto, l'ideale, quelle pellicole che non vedremo mai. È anche da questi particolari che si giudica un grande film.
Rimini e il Grand Hotel
Il viaggio di Fellini fine mai non può che iniziare a Rimini e al Grand Hotel Rimini di Amarcord. "Inizia da qui per orientare lo spettatore che non sa nulla di Fellini, orientare democraticamente verso un argomento che non va dato per scontato" ci spiega Eugenio Cappuccio. "Io in realtà sono stato adottato da Rimini: sono nato a Latina e mio padre era diventato commissario lì, per cui negli anni Settanta mi sono trasferito a Rimini, ho frequentato lo stesso liceo di Federico Fellini, ho fatto due anni di giurisprudenza e alla fine sono ritornato a Roma dopo aver vinto il concorso al Centro Sperimentale di Cinematografia". "Rimini è stata una specie di ottovolante, di Luna Park dove mi sono trovato a giocare e a vivere" continua. "Ritornare a Rimini era il tributo necessario, la forma di sdebitarsi con quella memoria e quella città dove sono entrato in relazione con il cinema e con Fellini. Per cui quando ho dovuto affrontare questa montagna immensa di un film dedicato a lui, non senza un tremore ai polsi, ho pensato che la modestia della partenza da un lungo dove si era cresciuti poteva donare la cifra di qualcosa di personale, non solo celebrativo, e magari riuscire a dare un piccolo contributo, gettando qualche ulteriore luce su aspetti non immediatamente chiari di questa figura". Apparire in prima persona, da parte di Cappuccio, metterci la propria voce, la propria faccia, è una scelta vincente: il film diventa così uno sguardo personale, un'opera dove il regista è anche un personaggio e un attore che ci tira dentro la storia.
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Metti un pomeriggio a Roma con Fellini
In questo modo tutto diventa più emozionante, perché viviamo la passione di un ragazzo che si avvicinava al cinema e a uno dei suoi grandi artefici. Così ci emozioniamo con lui quando racconta il suo incontro con Fellini per E la nave va: arrivare al Teatro 5 di Cinecittà e vedere una nave presa a cannonate è qualcosa di unico. Ma qual è un ricordo di Fellini che Cappuccio non ha ancora raccontato? "Ne ho tantissimi, e nel film ho dovuto fare una sintesi di dieci anni di amorosa relazione artistica e personale, fatta di momenti più a distanza, altri più in prossimità" ci racconta il regista. "Il mio rapporto con lui è tutto in quella tipica giornata che ti poteva capitare incontrandolo. Da ragazzo ero assistente al film Ginger e Fred, era sabato ed entrai alla Feltrinelli a via del Babuino. Avevo preso dei libri: Il topo e suo figlio di Hoban, Il Processo di Kafka e Siddharta di Herman Hesse. E stavo con questi tre libretti in mano, quando vedo Fellini di spalle che stava di fronte a dei libri. Faccio: 'maestro come sta?' Si prese questi tre libri in mano e mi ricordo la sua espressione un po' sorpresa un po' compiaciuta. E mi ricordo che, senza dire altro, si allontanò, andò alla cassa e me li regalò. Rimasi commosso. E mi disse: 'che devi fare adesso? Andiamo a fare un giro, accompagnami'. È un momento che racconta l'umanità di una persona che era anche controversa dal punto di vista caratteriale".
La provincia e la "maraviglia"
Fellini fine mai riesce a cogliere alcuni aspetti chiave che hanno fatto sì che il cinema di Fellini diventasse così grande. Mario Sesti, ad esempio, ci spiega che in Fellini troviamo quel godersi la città con un atteggiamento da provinciale. "Io penso che sia un meccanismo che riguarda tutti quelli che arrivano in una grande città" riflette Eugenio Cappuccio. "Tutto è provincia relativamente a quello che non è provincia. La provincia italiana si sente tale in relazione al fatto che esistono degli agglomerati metropolitani che un tempo significavano molto di più. Oggi con la comunicazione di massa è tutto un po' finito da un punto di vista provinciale e tutto è iperglobale e ipermetropolitano". "Questo aspetto fantastico del luogo da raggiungere dove scoprirai qualcosa di magnifico, di meraviglioso come dice giustamente Mario Sesti in quella bellissima riflessione, non è evaporato del tutto: la gioia il piacere eccitazione per chi viene da una piccola città di scoprire cos'è Roma c'è ancora, come l'opportunità di una maraviglia. Ma non è quella che si provava un tempo scendendo dal treno come in Roma di Fellini. Magari oggi sarebbe andare sulla Luna, su Marte".
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Lo spettatore deve vedere che è tutto finto
Un altro aspetto che colpisce è quella volontà di Fellini che lo spettatore vedesse che è tutto finto, e che quell'immagine finta lo faccia sognare. "La forza della messa in scena davanti a uno scenario ricostruito conferisce al movimento degli attori e alla narrazione un elemento di distacco dalla realtà" riflette Cappuccio. "E di percezione per lo spettatore di due livelli di finzione che, quando sono meravigliosamente orchestrati come nel caso di Fellini, anche usando soluzioni provocatorie, aiutano il film ad avvicinarsi a quel concetto di opera d'arte, in cui c'è l'opera e c'è l'arte, spesso anche l'altissimo artigianato com'era quello delle sue maestranze. Tutto si muoveva in una dinamica di bottega che mirava alla costruzione di un affresco dove la realtà era necessariamente riproposta e non resa mimeticamente". Per Fellini, il vero realista è il visionario. "Così come per Fellini la realtà parlava al di là della sua esperienza, ecco che anche la scena, con questa modalità di scollatura da quella forma di schiavitù che si dà in fondo la realtà, lo aiutavano ad avvicinarsi di più a quello che aveva dentro. Un'arte e un'operazione artistica violentemente personale, dove l'elemento autobiografico arricchiva tutto di tensione emotiva, identificazione: alcuni elementi sono degli archetipi che è riuscito a cristallizzare. Quello di Fellini è un cinema potentemente cristallizzato ed eternamente ripetibile con la stessa forza".
Viaggio a Tulum e Il viaggio di G. Mastorna: i film che non sono stati girati
Fellini fine mai, un film che sembrava stesse viaggiando su binari classici, ha uno scarto nel momento in cui svolta verso il cinema che non c'è, verso i due film mai fatti da Federico Fellini, Viaggio a Tulum e Il viaggio di G. Mastorna, detto Fernet. In quel momento Fellini fine mai fa una grande cosa, quella di evocare, di farci sognare e di farci vedere, con immagini di repertorio e con i fumetti di Milo Manara che poi ne sono stati ricavati, quei film che non abbiamo mai visto e non vedremo mai. "Fellini a un certo punto imbraccia il proprio destino di autore e punta verso una direzione che forse neanche a lui è così chiara, nella quale alcuni elementi fortissimi di inquietudine cominciano a emergere e prendere forma" rievoca Eugenio Cappuccio. "Un viaggio agli inferi, cioè nell'aldilà, che è quello di Mastorna e un altro verso le dimensioni ultrasensoriali, non tanto del soprannaturale quanto verso quella dimensione più vicina che è quella del paranormale. I due film hanno una sorta di continuità e lo stesso incompiuto destino. Quello che aveva sempre affascinato di tutto questo è che ogni grande artista presenta una dimensione di incompiuto. Ed è in questo che vanno ricercati i tratti salienti di quella filosofia, di quella visione del mondo, di quelle paure e di quelle vibrazioni oscure che ciascuno di noi ha e ancor di più un'artista come lui". "In quella parte del documentario non potevo non aprire la mia finestra su una dimensione crepuscolare che ha a che fare con l'avanzare dell'età e del tempo. Il viaggio di G. Mastorna è un film che comunque Fellini pensa ancora nella piena maturità: è un film che conosco attraverso i libri, non me ne aveva mai parlato". Mentre Viaggio a Tulum è un progetto che Cappuccio vive in prima persona. "È un'altra storia, perché in un mondo o nell'altro mi sono trovato a essere coinvolto in una serie di strani accadimenti che tramavano nel corso degli anni un misterioso disegno dal quale Federico decise bellamente di tirarsi fuori" ci svela Cappuccio. "Mi sono avventurato nel volere fare un'analisi di quello che poteva essere quello che aveva spinto Fellini a voler intraprendere questo racconto esoterico". Così, la parte di Fellini fine mai dedicata a Viaggio a Tulum diventa un vero film nel film, un film folle, misterioso e affascinante. "Ho vissuto sulla mia pelle determinate storie, e soprattutto ho raccolto quasi tutte le campane, e sono stato in mezzo a delle curiose fenomenologie che ancora oggi non mi spiego in maniera lucida, pur non avendo ingerito peyote né bevuto mezcal..." ci racconta il regista. "In questo è stato fondamentale Manara: la sua visualizzazione si sposava con la testimonianza del mio caro amico Andrea De Carlo che a causa di Viaggio a Tulum ha rotto la sua amicizia con Fellini, che era arrivato a odiarlo. Ero in mezzo a questa guerra dei mondi, sullo sfondo di questi fatti assurdi che accadevano a Federico ma non solo a lui. Tutto avviene nel periodo di Ginger e Fred e negli anni seguenti".
Un Fellini oggi sarebbe possibile?
Fellini è diventato un aggettivo: si parla spesso di film "felliniano" ma di Fellini non ce ne sono più. Guardando, attraverso gli occhi di Cappuccio, le favolose opere del Maestro, ci viene da chiederci: ammesso che ci sia oggi un Fellini, avrebbe modo, nel sistema attuale, di fare i suoi film? I film di Fellini sono autoriali, opere personalissime, ma comunque erano un evento che richiamava un pubblico enorme. "Non sono pessimista ma sono realista: oggi non c'è più quell'industria lì" ci risponde Cappuccio. "Fellini era un genio che si è trovato a poter lavorare in un contesto in cui un film si faceva in 30 settimane, un contesto rinascimentale dove quello che conta è il Maestro all'opera. Oggi tutto questo non esiste più, anche grandissimi nomi come Sorrentino o Garrone sono persone creativamente ineccepibili che vivono in un sistema dove non c'è più quella cosa degli anni Settanta, 950 milioni di persone che andavano al cinema. C'è la televisione, ci sono le piattaforme: ma con quali numeri, quale antropologia? Sei un creatore, lo sei in un ambito planetario, ma molto meno di impatto di quello che era una volta al cinema. L'impatto che negli anni Sessanta e Settanta aveva cinema è quello che può avere oggi la grande notizia del notiziario. Negli anni Sessanta era La Dolce Vita, Il Gattopardo. L'evento di massa di quel Fellini è inimmaginabile oggi, possono venire geni del computer, della messinscena, della narrazione, ma come impatto storico sociale non sono allo stesso livello. Lo stesso Spielberg, che è stato un grandissimo demiurgo, se pensi a quel che è stato Chaplin, non è paragonabile. È un'altra realtà".