Feral, in spagnolo, vuol dire selvaggio. E Feral, il film di Andrés Kaiser che abbiamo visto al Ravenna Nightmare Film Fest 2019 parla di questo, di bambini selvaggi, abbandonati e cresciuti nella natura come belve. Un sacerdote, che ha anche una preparazione in materia di psicoanalisi, prova a prendersi cura di loro, educarli, civilizzarli, nel rifugio dove vive, da solo, sulle montagne di Oaxaca. La storia di Feral si basa su alcuni spunti reali, ma è totalmente inventata. Ma Kaiser prova a farci percepire una possibile realtà nella storia usando la forma del mockumentary, cioè del finto documentario.
Abile montatore, Kaiser mescola una serie di interviste, realizzate con le tecniche di oggi - le immagini nitide del digitale delle interviste televisive - che le rendono verosimili, ma sono finte, e una ricostruzione della storia del passato, di quel rifugio poi andato in fiamme, dove avrebbero vissuto il sacerdote e i bambini. Sono abilmente realizzate in stile found footage, filmate con camere analogiche, e poi ulteriormente rovinate e "sporcate" per farle sembrare di molti anni prima. Il gioco è realizzato bene, mescola immagini girate con il linguaggio dei telegiornali televisivi d'epoca alle immagini tipiche dei documentari di oggi, e quelle più sporche e improvvisate casalinghi di molti anni fa. A una prima visione il gioco non è neanche tanto palese. Chiaramente, poi, un occhio attento riesce a smascherare il gioco.
Comunicare il realismo
"Ho iniziato la mia carriera come montatore e sono rimasto colpito dal potere che aveva il montaggio" ci ha raccontato a Ravenna Andrés Kasier. "Con un gesto può cambiare l'intreccio della storia". "Stavo lavorando con Vicente Lenero, un famoso regista messicano" ricorda. "Stava cercando un posto tranquillo in cui potersi concentrare per lavorare su un romanzo. E ha scelto il monastero di cui si parla nel film. Da alcune delle sue storie e fatti che stavano accadendo abbiamo preso fatti reali e abbiamo iniziato a lavorare insieme a drammatizzarli". L'aspetto interessante di Feral è il rapporto tra realtà e finzione. "L' ispirazione alla realtà sta più nel materiale che abbiamo usato che nel contenuto" confessa Kaiser. "Il monastero è reale, e lo è anche la figura del monaco. Ho provato a pensare a come potesse ragionare a e cosa potesse fare un medico che vivesse in completa solitudine. Abbiamo cercato di realizzare un personaggio più reale possibile e abbiamo usato degli strumenti legati al reale, come le telecamere analogiche. Abbiamo provato a comunicare il realismo e portare lo spettatore in quel periodo storico attraverso i mezzi e non attraverso i contenuti". È un'ammissione che siamo in un film totalmente di finzione e che il mockumentary è un'abile messa in scena per rendere la storia più realistica e quindi coinvolgente. È un gioco che, seppur in parte, riesce.
Che cosa vuol dire civiltà?
È un gioco che fa venire in mente i "Mondo Movies", dei film italiani che negli anni Sessanta e Settanta puntavano su terre e abitudini lontane facendo dei finti documentari. "Non conoscevo i Mondo Movies e andrò a documentarmi" risponde il regista. "Non c'è un film in particolare che ho usato come ispirazione. Mi piacciono in film in stile found footage, e lo stile di Bunuel". "Il caso di questi ragazzi selvaggi che qui vediamo comportarsi come gli animali è una metafora molto potente per indagare la vera differenza tra essere umano e animale" ragiona l'autore. "Per capire è una differenza che ci siamo inventati noi. Penso che la loro natura non sia poi diversa dalla nostra: fa sempre parte di noi, anche se la reprimiamo perché siamo una società civilizzata. Chi ha detto poi cosa vuol dire civiltà e su che basi vada fatta la civilizzazione?"
La riflessione, nel film, raggiunge anche uno step ulteriore, visto che la civilizzazione sgorga nella coercizione, nella violenza. "È inevitabile che la mente dello spettatore arrivi a questa riflessione" risponde Kaiser. "In Messico la questione della conquista del territorio dove la gente viveva e il cambiamento di quel mondo è qualcosa che sentiamo molto. Il protagonista del film, nel cercare di educare e civilizzare i ragazzi è probabile avesse buone intenzioni. Ma, accecato dalla convinzione di fare la cosa giusta, per lui fatto che uccida delle persone è parte del percorso, qualcosa che serve. E questo è quello che è avvenuto attraverso la conquista americana da parte degli europei".
Non è possibile non essere attraversati dalla religione
Abbiamo chiesto al regista se il suo film non sia anche critico verso la religione. Il fatto che il protagonista basi l'educazione dei ragazzi su dei precetti religiosi forse peggiore le cose. "Il personaggio è un uomo religioso ma allo tesso tempo è un educatore, e i suoi insegnamenti sono basati anche sulla psicoanalisi, su una base scientifica" risponde il regista. "Se non fosse stata una persona di chiesa il risultato avrebbe potuto essere diverso, ma non sarebbe stato possibile non affrontare il concetto di religione. Nel mondo in cui viviamo anche per un ateo non è possibile non essere attraversati dalla religione, la religione è al centro di dibattiti anche sociali, pensiamo al dibattito sull'aborto. Allora quei bambini avrebbero inevitabilmente subito lo stesso delle influenze religiose".
Guillermo Del Toro, pensaci tu
Alla fine dell'incontro siamo andati un po' fuori tema, ma abbiamo chiesto quale sia la situazione in Messico riguardo al cinema indipendente. "La situazione è paradossale" ha risposto Kaiser. "In questo momento in Messico c'è un grande boom di registi indipendenti e viene prodotta una grande quantità di film. Ci sono 7mila cinema. Il problema è che all'interno di questi cinema è raro che vengano proiettati film di registi messicani. È come se i messicani non conoscessero il proprio cinema, non hanno modo di vederlo in modo regolare. Le leggi non ci aiutano e ci stiamo mobilitando per chiedere che lo facciano. È un brutto momento e non so quando ne usciremo. Non so se i grandi registi come Guillermo del Toro possano aiutarci, facendo conoscere la nostra situazione anche all'estero".