La prima edizione del RomaFictionFest non ha potuto ospitarlo per questioni burocratiche ma quest'anno The Company, il kolossal-tv sulla CIA in oltre quarant'anni della sua storia e prodotto dai fratelli Ridley Scott e Tony Scott (in collaborazione con la Sony Pictures Television), rappresenta una delle anteprime più attese della rassegna romana. Diretta dal regista Mikael Salomon, che l'ha definito "un grande affresco storico-politico", la serie in sei puntate si avvale straordinario cast che vede impegnati tra gli altri Alfred Molina, Chris O'Donnell, Michael Keaton ai quali si è unito, nel ruolo del controrivoluzionario anticastrista il nostro Raoul Bova, alla sua prima grande esperienza televisiva Made in Usa. Uno sforzo produttivo enorme per una serie televisiva che nasce originariamente come progetto cinematografico della durata di due ore e dal budget di oltre 100 milioni, trasformata in serie-tv dopo la notizia che Robert De Niro stava lavorando al suo The Good Shepherd - L'ombra del potere. Tratta dall'omonimo romanzo di spionaggio di Robert Littel e adattato per la televisione dallo sceneggiatore Ken Nolan (lo stesso di Black Hawk Down) trasformando il libro in più di sei ore di racconto, The Company rappresenta un'anteprima importantissima per questa seconda edizione del RomaFictionFest anche per la presenza nel cast di uno degli attori italiani più belli (si, possiamo dirlo) e più sottovalutati che ci siano in circolazione. Il bel Raoul, autore di una delle migliori interpretazioni della sua carriera, è intervenuto alla conferenza stampa di presentazione di The Company, in concorso nella categoria Miniserie, insieme al regista Mikael Salomon e a Jonas Bauer della Tandem Communications (società distributrice) nonché co-produttore del progetto. Costato 38 milioni di dollari The Company è stato girato con uno sforzo logistico davvero imponente tra Portorico (per quel che riguarda la parte cubana), Budapest e Toronto, e verrà trasmesso prossimamente sulla Rai.
Signor Salomon, ci parla un po' del suo rapporto con Ridley Scott e di questo kolossal che ha visto uno spiegamento di mezzi così imponente, quasi cinematografico?
Mikael Salomon: E' stata un'esperienza meravigliosa per me, conoscevo da molto tempo Ridley e quando me l'ha proposto aveva appena visto The Grid, la serie-tv che ho diretto tra gli Usa e la Gran Bretagna sull'FBI. Così mi ha proposto la regia di The Company. Sapevo che sarebbe stata una grande sfida per me come anche per lo sceneggiatore adattare un romanzo e dilatarlo in sei ore anziché in due come accade per il film. L'idea era di realizzare un prodotto televisivo più cinematografico possibile, che non mostrasse alcun limite a livello visivo e a livello interpretativo. Per questo abbiamo cercato di mettere su un grande cast di attori sia europei che americani e di fare del nostro meglio per regalare al pubblico qualcosa di veramente importante. Siamo molto contenti della risposta del pubblico americano e anche degli apprezzamenti positivi da parte della critica.
Quanto ha influito la documentazione storica nella riuscita di The Company?
Mikael Salomon: Tantissimo. Chi mi conosce sa che sono danese di origine e in quanto tale mi ricordo benissimo quando da ragazzo visitai per la prima volta la vicina Berlino. Avevo una gran voglia, specialmente nella prima parte di The Company, di ricostruire quella strana atmosfera che ancora è molto vivida nella mia mente. L'autenticità dei set per me è un requisito irrinunciabile, abbiamo a lungo cercato strade di pietra e angoli d'Europa che si avvicinassero a quel che io avevo in mente. E poi la CIA, da sempre un argomento che mi affascina e mi incuriosisce. Trovo che gli uomini che lavorano in questo tipo di organizzazioni siano dei grandi patrioti cui si tributano, per ovvi motivi di riservatezza, solo sconfitte e mai vittorie. Vivono nell'ombra ma fanno un lavoro importantissimo.
Ha saputo di una qualche reazione da parte della CIA dopo la messa in onda di The Company?
Mikael Salomon: Non c'è stata alcuna dichiarazione ufficiale ma una persona di cui non farò il nome e che è molto vicina agli ambienti di Washington mi ha riferito che The Company è stato visto ed anche apprezzato dai diretti interessati che l'hanno trovato edificante e molto realistico, una rappresentazione assai convincente del loro quotidiano.
Perché ha scelto di raccontare la CIA? L'attualità ha giocato un ruolo importante?
Mikael Salomon: Trovo che tutto ciò che riguardi lo spionaggio e le organizzazioni segrete di sicurezza sia davvero molto interessante, appassionante e funzionale a livello cinematografico. Sia per la drammaticità intrinseca di certe storie che per i personaggi, spesso conflittuali con loro stessi e con i loro principi morali. The Company non è un progetto legato ai tempi d'oggi ma più che altro un approfondimento curioso e appassionato sui segreti e i regolamenti sotto copertura che governano e muovono il mondo.
Il successo di The Company ha lanciato definitivamente la sua carriera come regista televisivo?
Mikael Salomon: E' stato molto importante per me lavorare in un progetto tanto importante e pensare che Ridley mi aveva inizialmente proposto solo metà della regia perché si era pensato di guadagnare tempo e denaro incaricando due diversi registi che contemporaneamente lavorassero a distanza. Quando ho capito di potercela fare gli ho chiesto di affidarmi tutto il film e mi è stato concesso. Dopo il grande successo di The Company ho avuto modo di girare un'altra serie, la fantascientifica The Andromeda Strain (tratta dall'omonimo romanzo del 1969 di Michael Crichton), che sull'onda di The Company è stata molto seguita e apprezzata da tutti.
Raoul, come ti sei trovato a interpretare i panni piuttosto inediti per te del guerrigliero cubano in questa importante avventura americana?
Raoul Bova: Sono molto felice di aver avuto questa grande opportunità in un ruolo assai diverso da quelli che interpreto di solito. Sicuramente il personaggio di Roberto Escalona è stato uno dei più belli che abbia mai interpretato, un uomo d'onore e di sani principi capace di instaurare rapporti umani profondi nonostante la difficile situazione del suo paese. Era ora che qualche attore italiano venisse coinvolto in qualcosa di così importante a livello internazionale.
Che impressione ti ha fatto lavorare sul set di una produzione così prestigiosa?
Raoul Bova: Sembrava di essere sul set di un film hollywoodiano e non su quello di una fiction televisiva, ho visto posti spettacolari e lavorato con una troupe grandiosa. Lo spiegamento di mezzi e di uomini è stato davvero inimmaginabile. E' straordinario il risultato finale ed è giusto che prodotti come questi giungano in ogni parte del mondo. Quello che mi stimolava di più era l'idea di lavorare in un progetto prodotto dai fratelli Scott e diretto da un grande regista come Mikael Salomon.
Ti senti un po' limitato a livello lavorativo dal tuo aspetto fisico tipicamente latino oppure no?
Raoul Bova: Beh, quando mi propongono il ruolo dell'italiano medio per il quale esistono solo le donne e il calcio devo dire di si, mi sento molto limitato. Non sono mai entusiasta quando mi vengono proposti questi personaggi e tendo a preferire altro (non a caso Bova ha abbandonato la serie-tv americana What About Brian dopo la fine della prima stagione, ndr). Credo di saper far altro oltre all'italiano belloccio e al latin lover.
Ci sarà in futuro la possibilità di un seguito o la serie si esaurisce qui?
Jonas Bauer: Il materiale per traslare il tutto ai tempi d'oggi ci sarebbe pure, la voglia anche ma non si è mai parlato di far continuare o di sviluppare ulteriormente la storia. Per come è stata concepita è un capitolo chiuso che non prevede alcun prolungamento.