"A tutti quelli che chiamiamo pazzi o smemorati, ma che sono semplici viaggiatori nel tempo", recita una didascalia in apertura di film. E da qui partirà la recensione di Quel posto nel tempo, un film di Giuseppe Alessio Nuzzo che esplora attraverso un racconto sulla memoria i buchi neri di una malattia come l'Alzheimer. Non è un caso che debutti in sala proprio il 21 settembre, in occasione della Giornata Mondiale dell'Alzheimer, tema che cannibalizza l'intero film come è normale che sia, finendo per avere il sopravvento sull'estetica e le discutibili scelte di regia e scrittura. Ma un'opera non si giudica per il suo contenuto, e allora ci spiace dover ammettere che aldilà dell'indiscutibile valore morale, Quel posto nel tempo a livello cinematografico non può essere considerata un'operazione completamente riuscita.
Lo sguardo sulla malattia
La storia di Quel posto nel tempo, strutturata attraverso i flashback e le visioni oniriche del protagonista, indaga gli effetti della malattia nella vita di Mario (Leo Gullotta), un direttore d'orchestra in pensione che ormai trascorre i giorni in un grigio resort di lusso nel sud dell'Inghilterra. L'Alzheimer di cui soffre da tempo sta progressivamente cancellando i ricordi di una vita votata alla musica, fatta di fama, successi e soprattutto dell'amore di sua moglie Amelia (Giovanna Rei), morta anni prima mentre era incinta e di sua figlia Michela (Beatrice Arnera), abbandonata in nome di una carriera che è servita a riempire il vuoto lasciato da quella perdita.
Adesso Mario spera in una riconciliazione, e forse riuscirà, anche se a modo suo, a ritrovare in un posto lontano della mente la figlia che non ha mai conosciuto il suo amore di padre. A prendere forma sullo schermo è il terrore della malattia, la paura di perdersi nel vuoto, di vedere i ricordi di una vita accartocciarsi su se stessi e finire in un grosso buco nero; per Giuseppe Alessio Nuzzo il film rappresenta la sintesi di un viaggio iniziato con il cortometraggio Lettere a mia figlia e proseguito con il docufilm Manuale sull'Alzheimer, entrambi dedicati al racconto della malattia. La decisione di articolare la narrazione su diversi piani temporali (il presente, le visioni dal passato o quelle più oniriche e immaginifiche) non sempre si rivela adeguata: le immagini si susseguono spesso senza fluidità in un andirivieni di sogni e flashback poco amalgamati, con il rischio di far perdere lo spettatore in un meandro confuso e appiattito di fili narrativi. Si potrebbe obiettare che la scelta abbia il preciso scopo di far provare al pubblico le stesse sensazioni di smarrimento del protagonista, peccato sia quasi impossibile immedesimarsi in un personaggio distante e lontano quanto i suoi ricordi.
La solenne interpretazione di Leo Gullotta
La sceneggiatura non aiuta e inciampa in una serie di didascalismi e banalità, con la pretesa di mettere insieme una amalgama di argomenti che non trovano lo spazio necessario ad uno sviluppo appropriato. In soccorso arriva un cast di interpreti che a partire da Leo Gullotta (straordinario nel rappresentare il vuoto e lo stordimento del protagonista con un solo sguardo) lavora per sottrazione riequilibrando un film austero nelle intenzioni, ma barocco nell'esecuzione che tende a sottolineare qualsiasi cosa, scadendo nel melodramma più elementare.
Buona invece l'intuizione di fare di Napoli, dove la storia è ambientata, non una semplice quinta ma uno stato dell'anima: una città insolitamente vuota, silenziosa e ripresa in notturna. Sono i pochi momenti sinceri e autentici che si contrappongono alle immagini patinate, frutto di un'illuminazione artificiosa ed eccessiva. Il film si rivela ambizioso, ma incapace di mettere in scena almeno una delle ambizioni che lo sottendono.
Conclusioni
La recensione di Quel posto nel tempo si conclude ribadendo il valore morale di un’opera che vuole immergere lo spettatore nel terrore di una malattia come l’Alzheimer. Peccato che nella messa in scena molte delle ambizioni del film non trovino compimento, scontrandosi con una sceneggiatura edulcorata e didascalica. Non aiuta l’impossibilità di empatizzare con il protagonista e condividerne paure e turbamenti nell’inesorabile cancellazione della memoria.
Perché ci piace
- Napoli, dove la storia è ambientata, non è una semplice quinta ma uno stato dell’anima: una città insolitamente vuota, silenziosa e ripresa in notturna diventa inconsapevole protagonista del senso di smarrimento del personaggio principale.
- Leo Gullotta e un’interpretazione costruita per sottrazione.
Cosa non va
- La dimensione emotiva completamente assente e sopraffatta da un film austero nelle intenzioni, ma semplicemente barocco nell’esecuzione.
- Un’opera patinata e spesso stucchevole, che scade nel melo più elementare complice un’illuminazione artificiosa ed eccessiva.
- La scrittura non aiuta cedendo a didascalismi e banalità evitabili.