La regista Audrey Dana, dopo aver fatto il suo esordio alla regia con la commedia al femminile 11 donne a Parigi, torna dietro la macchina da presa continuando a parlare di femminilità, ma questa volta aggiungendo un dettaglio - non poco significativo - dell'universo maschile. Qualcosa di troppo è un'irriverente commedia che usa, in modo del tutto diverso dal solito, lo switch donna-uomo. In questo caso, però, la protagonista, giovane donna e mamma, incapace di elaborare il suo fresco divorzio e trovare un equilibrio interiore, convinta più che mai che essere un uomo sia molto più semplice dell'essere una donna, si ritroverà in una via di mezzo tra l'universo femminile e quello maschile.
Lo scontro tra l'universo femminile e maschile è una tematica particolarmente affrontata all'interno del cinema, ma che si riversa su altri media, attingendo in primis dalla realtà. Gli uomini non comprendono le donne, trovandole troppo complicate e drammatiche, le donne non comprendono gli uomini, giudicandoli superficiali. Da entrambe le parti non mancano i cliché, spesso e volentieri adoperati all'interno del cinema per la commedia degli equivoci. Lo abbiamo visto qualche settimana fa con l'italiano Simone Godano e il suo Moglie e marito, in cui i due coniugi, attraverso uno strano macchinario, si sono letteralmente scambiati di ruoli, vivendo, nel corpo dell'altro, le difficoltà quotidiane dell'essere uomo e dell'essere donna. L'intenzione della Dana è quella di dare un'idea totalmente diversa del continuo conflitto uomo-donna, cercando di creare un ibrido che unisca entrambi i mondi e faccia capire, sotto un punto di vista assai particolare, le diverse complicazioni e affinità di questi due universi, apparentemente distanti.
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Cosa vuol dire essere un uomo?
Audrey Dana usa il suo Qualcosa di Troppo, e le paradossali situazioni, tra una gag e l'altra, non senza qualche incursione nella goliardia, che Jeanne (la stessa Dana) è costretta a vivere, per rispondere a questa domanda, rielaborando il classico canone della switch comedy. Nella trasformazione parziale di Jeanne, la regista tira fuori quella piccola parte maschile che c'è all'interno di ogni donna, portandola a vivere emozioni, tempeste ormonali, situazioni, esattamente - o quasi - come le vivrebbe un uomo. Conduce la sua protagonista al limite, nel suo rapporto con i figli, con l'ex-marito, con l'amica di una vita Marcelle (Alice Belaïdi) e con l'assurdo dottore Pace (Christian Clavier), fino ad arrivare alla relazione sentimentale con Merlin (Éric Elmosnino).
E in questo percorso, in cui le carte si mescolano con ilarità e ironia, Jeanne prova a capire non solo di più sul mondo degli uomini, allontanandosi dal classico stereotipo di machismo e superficialità, ma imparando anche a conoscere meglio se stessa.
Esplorando il suo familiare universo femminile, dal suo nuovo universo maschile, trova quella sicurezza, determinazione e indipendenza che, in tutti quegli anni, le è sempre mancata.
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Una commedia al femminile e al maschile
Dopo i 11 donne a Parigi, dunque, Dana si cimenta in qualcosa di diverso, dove la voce più forte resta comunque quella femminile, in particolar modo la sua, ma che trova sfogo anche quella maschile. Jeanne è una specie di Bridget Jones's Baby francese, imbranata e adorabile, con gli stessi mutandoni che servono, però, a nascondere altro. Decisamente sopra le righe per buona parte del film, melodrammatica ed esagerata, ma in perfetta linea con una commedia che vuole essere estrema. Al suo fianco c'è Alice Belaïdi, nel ruolo di Marcelle che, inevitabilmente, finisce col diventare un personaggio di contorno e funzione. Il necessario personaggio, la piccola coscienza, che induce Jeanne ad affrontare la vita, nonostante la nuova, inspiegabile appendice.
Nel muoversi sul filo del paradosso, la vera forza ironica trainante di questo film deriva dalla sua controparte maschile, in questo caso rappresentata da Christian Clavier nel ruolo del ginecologo Pace.
A lui spetta un ruolo un po' macchiettistico, burbero e ironico. Il personaggio dalla battuta più volgare e che corre sulla scia del doppio senso; a differenza, invece, di Elmosnino che ha il vero compito di sdoganare i cliché legati alla figura maschile.
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Dall'ironia all'attualità del presente
Sebbene il divertimento sia la chiave di volta principale di questa commedia, Qualcosa di troppo strizza l'occhio a una realtà in cui si è ancora condizionati da una mentalità tipicamente maschilista e dove essere donna vuol dire avere meno diritti rispetto a un uomo. Imparando dalla lezione della precedente pellicola, particolarmente attaccata e criticata dagli uomini, la Dana affronta questa situazione principalmente dal punto di vista dell'identità sessuale. Più che creare un vero e proprio punto di incontro, senza retorica e senza elargire grandi verità, il film ridimensiona questa differenza che, in fondo, è basata unicamente su una questione di attributi.Possedere un apparato riproduttivo femminile o uno maschile può davvero definire la nostra identità in quanto esseri umani? Può davvero differenziare e determinare quale sia il sesso più debole, quello più complesso o superficiale? Qualcosa di troppo è la risposta, ironica, scanzonata e paradossale a queste domande che, invece, di leggero non hanno nulla. Audrey Dana, facendoci passare una serata spensierato al cinema, invita i suoi spettatori a prendersi un minuto di riflessione, e chiedersi quanto realmente potrebbe cambiare la vita, in meglio o in peggio, nei panni del sesso opposto.
Movieplayer.it
3.0/5