Era il 2013, e su Netflix (ma su Sky Atlantic in Italia) usciva House of Cards. Una serie definita cinematografica, per cast, regia, narrazione. Un anno dopo, su HBO (e ancora su Sky Atlantic in Italia), usciva True Detective. Un'altra serie che per messa in scena sembrava un film. Anzi, riusciva a sfidare il cinema stesso, sfruttando il linguaggio del grande schermo, ma declinando la storia in opera seriale. Due titoli abbastanza emblematici, e rivoluzionari. Ancora più rivoluzionario, fu Roma di Alfonso Cuarón che, da Netflix, arrivò agli Oscar (ben tre statuette, tra cui Miglior Regia), facendo tremare l'industria degli esercenti (dopo accese polemiche con la Mostra del Cinema di Venezia, che lo presentò in anteprima). Lo streaming, in men che non si dica, era diventato il rivale principale del grande schermo.
Chi lo avrebbe immaginato? Eppure, ecco le grandi star, le grandi sceneggiature, la qualità alternativa. Il cinema stava per entrare in una crisi di identità. Non solo le serie, che fidelizzavano gli utenti, ma anche i film originali, pronti a sfidare a suon di premi la distribuzione canonica. Poi? Poi lo sappiamo, è arrivato il Covid, le sale hanno chiuso e lo streaming ha rafforzato la sua posizione, prevalendo e dominando. Più prodotti, più uscite, cataloghi aggiornati giorno per giorno. Ma ogni cambiamento porta con sé altri cambiamenti, e altre prospettive. Allora, eccoci a fare il punto di una rivoluzione spuntata, e non del tutto compiuta: lo streaming, infatti, non è più il rivale del grande schermo, bensì è la prima alternativa alla televisione generalista e lineare. Ricopiandone toni, stile, format.
Smettiamola di credere che lo streaming sia in competizione con il cinema
E se lo streaming punta a sfidare la tv lineare, non lo fa solo con i format ma anche e soprattutto con le serie e i film originali che, per approccio e narrazione, al netto della fruibilità, sono sicuramente più continui ad una fiction o ad un film tv, che ad un'opera cinematografica. Gli esempi sono molti, e in qualche modo il pensiero è legittimato da un vecchio accordo tra Netflix e Mediaset datato 2019, che comprendeva sette film da distribuire prima sulla piattaforma streaming e poi sulle reti del Biscione (in mezzo c'erano titoli come Il divin codino e Sotto il sole di Riccione). È innegabile che, dietro la mission mossa dall'intrattenimento, l'evoluzione sia una sorta di involuzione: la qualità, poco a poco, si è assottigliata (in modo tecnico e oggettivo) e, tranne rare eccezioni, i titoli originali italiani che passano sulle piattaforme hanno gli stessi crismi di quelli Rai o Mediaset, da sempre bistrattati dal pubblico Under 35 (anche qui, tranne diverse eccezioni). In questo senso, non solo lo streaming non punta più a rimpiazzare il cinema, ma cerca invece di accaparrarsi gli spettatori della televisione generalista, optando per serie o film di facile e immediata digeribilità.
Recentemente, non possiamo non citare la serie Briganti, accolta in modo freddo (qui la nostra recensione), e subito scesa di posizione nella top 10 Netflix. Oppure Fabbricante di Lacrime che, al netto del grande successo di pubblico, non è certamente un film che definiremo capace di sfidare il grande schermo. In un certo qual modo, nell'insieme rientrerebbero anche Supersex e Suburraeterna che hanno in parte tradito le aspettative, finendo per rientrare nel nostro discorso legato a quanto la produzione streaming sia abbastanza decentrata rispetto all'originale richiesta degli utenti. E ci rientra anche Sei nell'anima (qui la recensione), dal marcato impatto televisivo (alla regia Cinzia TH Torrini, forse tra le più quotate registe televisive italiane).
Se nel 2016, quando arrivò Netflix in Italia, c'era la sensazione che in qualche modo fossimo davanti un altro modo di fare intrattenimento di qualità, adesso c'è ormai la consapevolezza che l'intrattenimento sia rivolto a quelle fette di pubblico che al cinema ci va raramente, trovando in streaming la diretta alternativa ai prodotti generalisti che compongono i palinsesti. Non solo Netflix, ci mancherebbe, e non solo titoli originali italiani: su Prime Video abbiamo visto recentemente Pensati Sexy ed Elf Me, o la serie No Activity. Chissà, prodotti che qualche anno fa avremmo visto sulle reti generaliste, e che ritroviamo in cataloghi indirizzati dall'algoritmo. Più in generale, l'abnorme quantità di uscite settimanali, tra lungometraggi e serie, spesso finisce per offuscare anche quei titoli che, teoricamente, sfiderebbero il cinema (esempio: Ripley), finendo visti solo dal pubblico più (giustamente) esigente.
I format, dalla tv alle piattaforme
Ma a proposito di palinsesti, i format giocano un ruolo fondamentale sulle piattaforme. Citiamo l'esempio di Italia's Got Talent, quel talent show portato in Italia da Mediaset, e poi passato a Sky. L'edizione numero 13 è stata distribuita da Disney+, e poi è arrivata in replica su TV8, senza però convincere dal punto di vista degli ascolti. Quello di Disney+ è stato un tentativo, probabilmente andato a vuoto (non abbiamo notizie di un'edizione 2024 mentre stiamo scrivendo), di affiancarsi ai format comparsi sulle altre piattaforme. Infatti, la prima ad arricchire (e quasi sostituire?) i cataloghi con veri e propri programmi tv è stata Prime Video.
Era l'inverno 2020 quando Amazon presentò un palinsesto legato ad un approccio generalista, tra cui spiccavano Celebrity Hunted - Caccia all'uomo (arrivata oggi alla quarta stagione) e lo show culinario Dinner Club con Carlo Cracco. Il 2021 poi fu l'anno di LoL - Chi ride è fuori, andando a sbaragliare la home di Prime Video, imponendosi come prodotto più visto in piattaforma, per buona pace dei film e delle serie (oscurando anche quei film di qualità che il cinema lo sfiderebbero eccome, come nel caso di American Fiction, candidato all'Oscar e distribuito da Prime senza troppi annunci nella stessa settimana di LoL 4). Quindi, format originali, e dallo stile decisamente generalista. E un ragionamento sui format, almeno all'inizio, lo ha fatto pure Netflix con Summer Job, realty show del 2022 passato totalmente inosservato.
Tirando le fila, il nostro approfondimento non vuole tanto giudicare artisticamente le offerte streaming (per i giudizi ci sono già le recensioni che scriviamo quotidianamente), bensì vuole analizzarle in relazione al mutamento avvenuto: se lo streaming è un mezzo casalingo, perché provare a ricopiare il grande schermo? Un dispendio economico e produttivo inutile, se poi la fruizione si rivolge allo spettatore abituato a linguaggi molto meno ambiziosi. Le acquisizioni delle piattaforme sono quasi del tutto orientate verso quella fetta di utenti over 40/45, che hanno scoperto lo streaming in seguito alla Pandemia. Per questo, lo studio pianificato è chiaro: offrire loro gli stessi film, gli stessi format e le stesse serie che vedrebbero a casa sui canali tradizionalmente generalisti. Spesa minore, minutaggio di visualizzazione maggiore. Per buona pace di chi è costretto a rivedere, per l'ennesima volta, House of Cards.