Non c'è dubbio: sarà la curiosità morbosa, sarà la voglia di indagare cosa si cela davvero dietro le contorte menti degli assassini, ma è innegabile quanto oggi il crime e il true crime siano i generi più richiesti dal pubblico. Generi che, a loro volta, contengono numerose sfaccettature, allargando i confini inquietanti di figure archetipe eppure, come dimostra il film in questione, spaventosamente reali. Dunque, mentre le piattaforme rimpinzano i loro cataloghi di killer e pazzi omicidi, è affascinante l'intuizione avuta dal produttore Cesare Fragnelli di portare al cinema la contorta e oscura storia vera che avvolge uno dei più truculenti casi di cronaca nera italiana, segnata dallo sguardo indecifrabile e asettico di Franco Percoco. Sguardo appunto tradotto in Percoco - Il primo mostro d'Italia, diretto da Pierluigi Ferrandini e tratto dal romanzo Percoco di Marcello Introna.
Se il film è pervaso da una certa linearità statica, che non regala guizzi ma cerca una centralità estetica rarefatta, è invece interessante la struttura del racconto che, saltando il focus dell'omicidio, inizia proprio nel climax post-mortem, andando a soffermarsi sul retaggio folle e psicologico del personaggio, illuminando (letteralmente, vista la fotografia spesso sovraesposta) la lucida dannazione di un uomo spostato dai piani reali, collocandosi in una sorta di demoniaco inferno personale. Funziona? Sì, se consideriamo il pretesto, il volto dell'attore - un bravo e glaciale Gianluca Vicari, al suo primo ruolo da protagonista - e l'intuizione di superare gli archetipi crime in funzione di un delineazione narrativa attinente alla realtà dei fatti - la produzione ha potuto attingere al materiale investigativo - e soprattutto attinente al profilo (mostruoso) di Franco Percoco.
Franco Percoco, una storia vera
Ma chi era questo Franco Percoco? Come detto, nel film di Pierluigi Ferrandini, che firma anche la sceneggiatura, è interpretato da Gianluca Vicari, in grado di dare al personaggio una tridimensionalità oscura, lavorando sia sulla voce che sullo sguardo. Tuttavia, Percoco, proveniente da una famiglia piccolo borghese, e creduto da tutti un bravo ragazzo, stermina la sua famiglia la notte tra il 26 e il 27 maggio del 1956, convivendo con i cadaveri per ben dieci giorni. In mezzo, feste, festini, gite fuori porta e una fuga ad Ischia, dove verrà arrestato e riportato in Puglia. Il movente? Mai del tutto chiarito, o comunque in parte riconducibile al suo stato psichico, stressato da numerosi esaurimenti nervosi (un fratello in carcere, l'altro afflitto dalla sindrome di down, una carriera universitaria fallimentare).
Del resto, ciò che restò particolarmente impresso non furono tanto gli sconvolgenti omicidi, quanto la sua innaturale fermezza e freddezza nel convivere con i cadaveri in quella casa che, una volta ripulita, non fu mai più abitata (oggi il palazzo non esiste più). Un caso di cronaca che alterò l'opinione popolare, ottenendo ovviamente forte risonanza mediatica. Ciononostante, Percoco - il primo mostro d'Italia si trattiene dal rimarcare gli aspetti più cruenti e scabrosi (forse riassunti in una teglia piena di vermi...), ripercorrendo in parte i dieci giorni di libertà e di stravizi di Franco Percoco, mettendo in contrasto i suoi occhi neri ad un Paese risvegliato dal Boom Economico.
Percoco - il primo Mostro d'Italia, il trailer del true crime italiano, al cinema dal 17 aprile
Quando il cinema diventa (troppa?) cronaca
Una scelta vincente? Lo ripetiamo: in parte. Sarebbe stato facile e scontato rivedere il delitto partendo dal sangue e dalla perversione, e come spesso accade è più suggestivo soffermarsi sulla mente dei killer piuttosto che sulle loro azioni. In questo senso, lo script di Ferrandini prova a fare questo, racchiudendo le immagini in una tonalità color tabacco che strizzano l'occhio ad una certa concezione volutamente teatrale ma, come spesso accade, decisamente televisiva. Se l'indagine dell'ombra di Percoco è l'indizio che tiene insieme la sceneggiatura - e la stessa performance di Vicari - il film si fermerà a metà strada, evitando l'approfondimento generale per optare sull'insano tour di Percoco all'interno della Rinascita degli anni Cinquanta.
Il cortocircuito voluto gira bene, perché ci troviamo ad affrontare un'Italia sorridente che, nei suoi anfratti, rinchiude invece sprazzi di infermità (de)celebrata, di animo nero e tormentato (e Franco Percoco era l'emblema del tormento e delle negazioni, famigliari e sociali). Ma se è vero che il parallelo è funzionale per il film (se non altro per essere materiale narrativo, fermandosi però sull'idea più che sull'azione, preferendo indugiare sul taglio oculare di Percoco invece che entrare all'interno della sua contorta mente, ed esaurendo conseguentemente il ritmo necessario e il coinvolgimento emotivo. Così, se l'intero approccio narrativo e visivo è continuamente e costantemente sottolineato (e fin troppo ferreo nel raccontare i fatti, a discapito di una fluidità filmica), la mostruosa personalità di Franco Percoco resta comunque appiccicata alle immagini artificiali, grattando la scorsa del true crime per portare in superficie la cronaca oggettiva di una figura orrendamente archetipa.
Conclusioni
Concludendo la recensione di Percoco - Il primo mostro d'Italia, rimarchiamo quanto il film di Pierluigi Ferrandini sia attento più ai fatti che al formato cinematografico, prediligendo la formalità teatrale (e un tantino televisiva) ai molti spunti provenienti dalla sceneggiatura. Uno su tutti? Il buon parallelo tra il lato oscuro di Percoco e il Boom economico.
Perché ci piace
- Gianluca Vicari, convincente in un ruolo non semplice.
- Il parallelo tra Boom economico e ossessioni disturbanti.
Cosa non va
- C'è una certa staticità, sia narrativa che visiva.
- Il cast di supporto non sempre resta nella parte.