Recensione Uncut - Member Only (2003)

Potrebbe apparire pretestuosa, l'idea di base di questo "Uncut - Member Only", una provocazione "underground" attentamente studiata: ma bastano pochi minuti di visione per rendersi conto della riuscita narrativa e della notevole ricerca stilistica che c'è dietro al film.

'Pene' di un infermo

E' un'idea singolare, sicuramente fuori dagli schemi, quella che regge questo film del giovane Gionata Zarantonello, già passato in molti festival e conquistatosi una sua piccola fama di "cult": un unico, lungo piano sequenza tra le gambe di un uomo costretto a letto, ossessionato dalla ricerca di una donna che allevii la sua sofferenza di temporaneo infermo. L'obiettivo della macchina da presa corrisponde a quello di un sofisticato macchinario per radiografie, attraverso il quale i medici tengono d'occhio il recupero di Ciccio (questo il nome del protagonista) dall'infortunio; noi, invece, ci troviamo nella particolare posizione di voyeur, all'inizio un po' imbarazzati, ma poi sempre più divertiti. In mezzo, una sfilza di incontri, visite, telefonate, persino un'aggressione dettata dalla gelosia: tutto rigorosamente fuori campo, almeno quando non va ad "invadere" (piacevolmente in alcuni casi, molto meno in altri) lo spazio vitale di quello che il regista ha eletto a soggetto centrale del film, il membro maschile. Oltre a tutto ciò, un interrogativo ricorrente, che assume sempre più i contorni di un vero e proprio giallo: che fine ha fatto Jasmine, la compagna del protagonista che si trovava con lui poco prima del suo incidente? L'uomo è forse coinvolto nella sua scomparsa?

Certo, l'idea di base di questo Uncut - Member Only potrebbe apparire pretestuosa, se non furba, una provocazione studiata a tavolino per catturare l'attenzione del pubblico più affascinato dalle trovate underground. E' da dire, però, che bastano pochi minuti per rendersi conto dell'indubbia riuscita narrativa del film, e la sua stessa ragione di esistere diventa più chiara man mano che impariamo a conoscere il protagonista e la tipologia di rapporti che instaura con il sesso femminile. Ciccio è il classico uomo cinico, nichilista, spaventato dall'amore, interessato unicamente a spargere il suo seme qua e là, anche quando immobilizzato su un letto; le storie che scrive parlano di questo, i suoi discorsi e le sue azioni confermano questo concetto: il totem va costantemente curato, vezzeggiato, improfumato, reso sgargiante come fosse una macchina nuova. L'incidente non ha leso il suo sesso, e quindi non è un gran problema restare immobilizzato a letto: l'importante è che la sua "macchina" perfetta continui a funzionare. "Un uomo è il suo cazzo, e l'unica cosa che conta è trovare un buco dove riporlo", lo sentiamo dire: certo, la figura retorica alla base del film non brilla per finezza, è un'idea fin troppo esplicita per non dire didascalica, ma indubbiamente, nel contesto, funziona.

Ma non è un tema che, una volta superata la sorpresa per il come viene esplicitato, si rivela in effetti tutt'altro che "rivoluzionario", a costituire il principale motivo di interesse del film: a stupire è, piuttosto, il modo in cui avvenimenti che si svolgono fuori campo riescono a catturare l'attenzione dello spettatore come se accadessero davanti ai suoi occhi, sullo schermo. Merito principalmente di un'ottima sceneggiatura, che riesce a gestire in modo convincente la componente "thriller" e a concatenare gli eventi in modo da non far calare mai la tensione, ma anche di una regia che, a dispetto delle apparenze, "gioca" con intelligenza con ciò che deve o non deve entrare in campo e con il quando ciò deve succedere, rivelando uno studio sui tempi cinematografici e sui meccanismi della suspense per immagini (o per sottrazione di esse) sicuramente più approfondito di quanto una visione superficiale del film non possa lasciar intendere. E' da segnalare anche l'interessante uso del sonoro, che commenta i racconti del protagonista con i suoni ambientali da lui descritti, e la colonna sonora orchestrale, che si avvale spesso di temi maestosi che creano un divertente contrasto con la banalità delle situazioni narrate. E, in quest'ottica, si può perdonare al protagonista Franco Trentalance qualche passaggio non proprio recitato al meglio, considerata anche l'estrema difficoltà di reggere in modo ottimale un unico piano sequenza di settantotto minuti, senza pause e soprattutto senza affidarsi alla propria espressività.

Zarantonello sapeva bene di dirigere un prodotto di nicchia, un film che, anche laddove fosse uscito in sala (è successo, anche se a due anni di distanza, dato che il film è del 2003: un plauso dunque ai distributori) sarebbe stato, nella migliore delle ipotesi, una singolare curiosità per cinefili annoiati dalla piattezza del panorama filmico nostrano. Eppure, il coraggio del regista vicentino va premiato, e non tanto, lo ripetiamo, per il cosa ha raccontato, e neanche per la provocazione del come: il suo merito sta piuttosto nell'aver mostrato come il cinema può prendere strade diverse da quelle convenzionali, uscire dai canoni della sua stessa grammatica e trovare soluzioni rivoluzionarie a livello narrativo e di regia, riaffermando al contempo la sua natura di intrattenimento per immagini e (per buona parte della sua storia) suoni. E questo, a parere di chi scrive, non è poco.

Movieplayer.it

3.0/5