Pavements, la recensione: o di come raccontare al cinema l'essenza di una band

Un'opera insofferente alle regole, che prende la natura anticonvenzionale della band protagonista per mescolare ogni forma di arte, dando così vita a un documentario che intrattiene e si fa amare. A Venezia 81.

Pavements, un'immagine del film

È un gran, bellissimo casino, Pavements. Una confusione che non disturba, ma coinvolge; un caos dove diversi livelli di narrazione si mescolano a forme d'arte divergenti, ma tutte unite da un unico comune denominatore: la band anni Novanta Pavement.

Pavement Foto Band
La band Pavement

Formatisi a Stockton (California), nel 1988, i Pavement sono tutt'oggi annoverati tra i gruppi più influenti della scena indie rock statunitense, nonché tra i maggiori esponenti del movimento lo-fi degli anni Novanta. Un successo forse limitato entro i confini del territorio americano, ma che un'opera come quella di Alex Ross Perry intende adesso espandere, rendendola di carattere universale. Con il suo Pavements (presentato alla Mostra del cinema di Venezia 2024 nella sezione Orizzonti) il regista vuole amplificare l'euforia di un momento, espandere la felicità per una reunion inattesa, pronta a parlare a nuove anime incomprese, fragili, sensibili.

Musica ribelle per racconti fuori dal coro

Pavements Joe Keery
Joe Keery in una scena del film

Alex Ross Perry lo sapeva, ne era a conoscenza sin dalle prime fasi del suo progetto: per raccontare i Pavement non basta rientrare nei confini del racconto classico. Troppo anticonvenzionali, troppo ribelli, troppo fuori dal coro. Pavements è uno, nessuno e centomila sfumature dell'arte. Giocando sulla natura ibrida di un'opera insensibile alle regole, il film di Perry si fa documentario che incontra il musical teatrale, per poi raccontare l'allestimento di un museo temporaneo, e infine inserirsi nei meandri di un mockumentary di un film fittizio ("Broken Rage") interpretato da attori reali (Joe Keery, Jason Schwartzman, Nat Wolff, Fred Hechinger) che volutamente caricano il proprio processo creativo per risultare macchiette in overacting. Tutto mescolato insieme, tutto allo stesso tempo, senza possibilità di respiro.

Pavements: la band indie degli anni '90 rivive in un folle documentario "ibrido"

Split-screen per personalità di visione complesse

Cast Pavements
Il cast di Pavements da una foto su Instagram

Come un paziente affetto da personalità multipla, Pavements lascia che le sue varie identità si facciano largo all'unisono, affiancando passato e presente della band americana, teatro e cinema, museo e materiali di repertorio. Gli split-screen si fanno allora strumenti imprescindibili a una narrazione mai lineare, ma frammentata in uno spazio di visione incapace di trovare una propria uniformità. I costanti salti temporali vanno a braccetto con uno spettacolo da allestire, figlio di un'onda nostalgica alimentata da un interesse imperituro per una band che non ha mai smesso di sconvolgere, unire, allontanare. Ma il montaggio sincopato, frammentato, di uno schermo chiamato a scindersi in tanti pezzi una stessa visione della storia, è anche una danza dell'immaginazione sulla potenza dei ricordi.

Divenire fonte di un'opera biografica al cinema significa aver assaporato il gusto dell'eternità, aver assaggiato il dolce sapore di un riconoscimento universale. Ma nel mondo dei Pavement anche l'opera che dovrebbe raccontarli si fa tradimento delle aspettative e ribaltamento delle regole classiche. Lontana dalle convenzioni, l'opera di Perry decide di essere un documentario sui generis; insensibile alle regole, trae spunto dallo stile musicale dei suoi protagonisti per prendere una posizione su cosa (non) voglia essere, e puntare così su un'identità straniante, disorientante, restituita con raccordi poco afferrabili e inquadrature concepite come tante associazioni di pensiero.

Un ballo malinconico tra fantasia e realtà

Pavements Foto Stephen Malkmus
Il lieader dei Pavement, Stephen Malkmus

Va così fuori dai canoni prestabiliti, Pavements, da estremizzare il senso di caos che investe lo spettatore, e mettere così in dubbio perfino l'effettiva esistenza di questa band. Ma i Pavement eistono; eccome se esistono. I loro brani hanno scosso le esistenze di giovani che hanno trovato in questo gruppo dei nuovi mentori, dei portavoce delle proprie fragilità e insicurezze. E lo hanno fatto con versi nati da associazioni di idee, prodotti di un pensieri in movimento, di istantanee di un momento che danno alla propria produzione un'immediatezza istintiva ed emotiva che lo stesso regista intende restituire con schermi frammentati, immagini reali mescolate ad altre frutto di uno scherzoso joke interno. È un'opera dell'assurdo, Pavements; un'opera rock, ribelle, dove tutto è amplificato e nulla è preso sul serio. La mostra, il musical, il film, diventano parti integranti d un documentario generato e creato da anni di silenzio; è un atto rivoluzionario di un'opera controcorrente volutamente stonata, fatta d voce e suoni che si sovrappongono così da non risultare armoniosa, accondiscendente, cullante, proprio come non è accondiscendente, ruffiana, armoniosa, la musica dei Pavement.

Il tempo dei giochi è limitato

Eppure, per quanto coinvolgente, questo divertissement rischia di mettere a dura prova la soglia dell'attenzione del proprio pubblico. Sviluppato su un running time di due ore, il racconto multistratificato di Pavements diverte, ma allo stesso tempo rischia di risultare ridondante, come un giradischi incantato sul tuo brano preferito, che a forza di riprodursi all'infinito finisce per stancarti e venirti a noia. Non arriverà a tale parossismo, e nemmeno alla mal sopportazione, Pavements, ma per un'opera così intensa, collage artistico di un'essenza musicale imperdibile giocato su tanti livelli di visione, due ore sono tante, forse troppe. Ma è l'unico neo di un mixtape incapace di rinchiudersi in un solo genere, in precetti stilistici che lo soffocherebbero, gli toglierebbero la parola, proprio come farebbe alla musica della band protagonista, così anticoncezionale, così ribelle, così rock, così indipendente, così Pavement.

Conclusioni

Pavements è un bellissimo casino. Ibrido incurante delle regole del buon documentario, esce fuori dagli schemi nutrendosi di quella verve ribelle che alimenta l'essenza musicale della band che intende raccontare. Mescolando materiali di repertorio, a interviste, a momenti preparatori per l'allestimento di una mostra temporanea, un musical e un film (fittizio) dedicati al gruppo Pavement e alla loro recente reunion, l'opera di Perry diverte e istruisce nuove generazioni di ascoltatori, iniziandoli a un universo pronto a investirli, immergerli, sedurli.
Peccato per una durata un po' troppo eccessiva.

Movieplayer.it
4.0/5
Voto medio
4.0/5

Perché ci piace

  • La natura ibrida dell'opera.
  • L'ironia degli attori di non prendersi sul serio e parodizare il proprio metodo attoriale.
  • La scoperta di un universo musicale non così conosciuto fuori dagli USA.

Cosa non va

  • La durata eccessiva.