Per essere un buon regista serve senso pratico, capacità di organizzazione, un metodo e una comunicativa, vera o falsa che sia non importa.
In una recente intervista, Paolo Sorrentino ha approfondito diversi aspetti del lavoro da regista e del suo percorso professionale, provando a concentrare in un pensiero l'essenza di una professione tanto avvolgente quanto affascinante. Paolo Sorrentino arriva alla soglia dei 50 anni, metà dei quali passati nel mondo del cinema, costruendosi un percorso in costante ascesa e formando il suo profilo di regista, riconoscibile tanto ai suoi fan quanto ai detrattori. Per celebrare il compleanno di uno dei registi più rinomati del panorama cinematografico italiano, abbiamo deciso di ricordare cinque fra le sue migliori inquadrature. Un breve viaggio per immagini, cercando di raccontare l'universo cinematografico del regista napoletano attraverso cinque fra le immagini più iconiche del suo percorso cinematografico.
Ex studente di economia e commercio, ad un passo dal diventare bancario, Paolo Sorrentino sembra aver mantenuto da regista uno spicchio di quell'asciutta praticità verso cui si stava indirizzando la sua carriera professionale. Se i dialoghi spesso riscontrano un'ostentazione di concetti e riflessioni che i detrattori giudicano eccessiva, attraverso la composizione delle inquadrature Sorrentino trasmette senso pratico, conferendo delle suggestioni evocative che nel corso degli anni hanno contribuito a definire il suo stile.
E quel che rimane al termine della visione di un film di Paolo Sorrentino è soprattutto la capacità potente e immersiva delle sue immagini. Immagini che contribuiscono a creare il suo mondo tanto quanto le parole. Gli universi creati da Sorrentino sono mondi dentro ai quali camminiamo lentamente ascoltando i nostri passi, come Jep Gambardella in La grande bellezza. In una Roma deserta e silenziosa. Seppur il lavoro di scrittura e le battute che i personaggi di Paolo Sorrentino pronunciano abbiano la forza d'imprimersi nella mente dello spettatore, sono l'uso dello spazio, la centralità del personaggio, la costruzione perfezionista delle inquadrature e i suoi magnetismi che sedimentano in noi e insinuano almeno uno spunto di riflessione.
A metà fra un arzillo menestrello partenopeo e un burattinaio che accoglie il pubblico fra le sue marionette, Sorrentino non sfugge al gusto del racconto e col passare degli anni affina il suo talento e arricchisce le sue opere di personaggi disillusi e tormentati, apatici e perduti. La macchina da presa è al servizio di immagini che geometricamente compongono il quadro di un'esistenza che si trascina verso un destino che sembra inevitabile. La gallery dei suoi personaggi è ricca di anime alla ricerca di un bagliore di luce, di una speranza da poter finalmente agguantare. Certe inquadrature, così minuziose e magnetiche, sembrano quasi suggerire un cinema muto, composto solo da sguardi, musica e luce. Un cinema nelle quali le parole sembrano fungere da magniloquente riassunto in lettere, che esplicita - e talvolta arricchisce - ciò che le immagini, con tutti i sopracitati ingredienti, riescono già a trasmettere.
1. La grande bellezza (2013)
Il salotto decadente di Roma. Desolante, superficiale. Il destino ineluttabile contrapposto alla sacralità di un luogo che acuisce il senso di solitudine del protagonista, Jep Gambardella (Toni Servillo). La grande bellezza è un tragicomico omaggio alla dolce vita romana, un racconto della miseria umana nel lugubre e fascinoso contesto barocco della Capitale. Numerose sono le sequenze e le inquadrature simbolo del film ma una delle più caratteristiche è quella che mostra Jep Gambardella impegnato a scegliere gli abiti di Ramona seduto ai piedi dell'enorme statua di Marforio, scultura del I secolo D.C. alla quale i romani affidavano le loro lamentele lasciando messaggi anonimi.
2. Il divo (2008)
Mastodontica parabola sulle vicende più oscure della storia del Novecento italiano, che ruotano intorno all'ambigua figura di uno degli uomini più potenti del dopoguerra. La mimetica trasformazione di Toni Servillo in Giulio Andreotti è impressionante e, intorno alla sua performance, giostrano una serie di protagonisti dell'ipocrisia e del doppiogiochismo che permeano i salotti del potere. Un'inquadratura in particolare de Il divo è emblematica per la capacità di trasmettere le atmosfere tetre e subdole nelle quali si è mosso per decenni Giulio Andreotti. Come un funzionario oscuro e silente, una sorta di moderno Nosferatu, Andreotti cammina in un salone enorme, location dal sapore horror e mefistofelico.
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3. Youth (2015)
Il maestoso albergo svizzero nel quale si rifugiano i due anziani protagonisti di Youth, il regista Mick Boyle (Harvey Keitel) e il direttore d'orchestra Fred Ballinger (Michael Caine), sembra un enorme placido spartito. Cadenzata dalle conversazioni sull'inesorabile tramonto della vita e dalle musiche che qua e là sembrano dettare il ritmo della quotidianità, Youth è un omaggio all'arte e all'inconsolabile oblio al quale siamo destinati. Diverse le inquadrature suggestive ma quella più significativa ritrae gli ospiti dell'albergo sdraiati in completo relax uno al fianco dell'altro, come tasti di un pianoforte che riposa dopo le fatiche di una vita intensa e logorante.
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4. Loro (2018)
Dopo il ritratto di Giulio Andreotti ne Il divo, Paolo Sorrentino sceglie di raccontare un altro personaggio scomodo e infido anche solo da affidare ad un attore. Silvio Berlusconi non simboleggia soltanto uno degli uomini più influenti nella politica e nell'industria italiana degli ultimi trent'anni ma un vero e proprio spartiacque nella vita sociale del Paese, personaggio attivo nei radicali cambiamenti nei mass media e nel costume della società italiana. In Loro Paolo Sorrentino riesce nel tentativo di raccontare la storia di una persona. I suoi egoismi, i suoi errori e gli snodi fondamentali della sua vita. Eppure colpisce l'inquadratura nella quale si staglia il profilo oscuro del protagonista ripreso alle spalle mentre osserva il circo creato nella sua dimora brianzola, come un qualsiasi spettatore di una puntata di un programma del suo impero televisivo.
5. Le conseguenze dell'amore (2004)
Una scala mobile piana e un personaggio che s'intravede in lontananza. Una delle scene iniziali de Le conseguenze dell'amore è il biglietto da visita di uno dei lavori più affascinanti di Paolo Sorrentino. Il silenzio svizzero che ritroveremo in Youth, qua amplifica la solitudine del protagonista, un altro freak ambiguo del cinema di Sorrentino. Titta di Girolamo è un eremita con la valigia in conflitto con il mondo, dalla losca quotidianità e dai rapporti umani ridotti al nulla. Raramente Sorrentino ci ha regalato il cuore del film attraverso inquadrature così spiazzanti e angosciose.