È meglio dirlo subito, proprio all'inizio della nostra recensione di Outside the wire, il nuovo film di Mikael Håfström, il regista dietro al successo del primo Escape Plan: per quanto dalla locandina e dal trailer possa sembrare un film di genere fantascientifico, questa nuova produzione targata Netflix affonda entrambi i piedi in un genere ben più canonico e semplice, quello dell'action puro. Il film lo mette in chiaro fin da subito: ci sono gli androidi senzienti e le milizie belliche sono composte anche da soldati robot, ma la dimensione narrativa del film è quella del più classico degli action movie a sfondo bellico: uno scontro tra americani e russi, testate nucleari da disattivare prima del previsto, sparatorie e qualche colpo di scena. Al di là delle premesse, ci troviamo di fronte a un'opera che non vuole rinnovare il genere, ma piuttosto far accoccolare lo spettatore dandogli sicuramente ciò che si aspetterebbe e tuttavia mancando di vere sorprese. Con una sola, grande certezza: Anthony Mackie che sorregge il peso (leggero) del film sulle proprie spalle.
Dentro la guerra
Eppure, a ben vedere la trama del film, non è Anthony Mackie il protagonista della vicenda. Lo spettatore deve seguire un'altra storia, quella di Thomas Harp (interpretato da Damson Idris), un militare pilota di droni che combatte dietro a uno schermo da una sala controllo. Siamo nel 2036, e per un ordine non eseguito, costato la vita a due soldati americani, il tenente è costretto a lasciare la sua comfort zone e partecipare in prima linea alle operazioni militari nell'Europa dell'Est, con lo scopo di catturare Viktor Koval, un signore della guerra invisibile, un fantasma che il Pentagono sta cercando per catturarlo prima che possa far esplodere delle testate nucleari. Harp dovrà affiancarsi a Leo (Anthony Mackie), uno dei nuovi prototipi di soldati androidi, perfettamente indistinguibili dagli umani, letali e vere e proprie "macchine da guerra". Sarà l'occasione per vivere nuove terribili esperienze e cambiare prospettiva sulla sua visione del mondo. E forse, sarà anche l'occasione per scontrarsi con questi nuovi soldati: l'uomo contro la macchina. Nonostante siano dalla stessa parte, l'uno sembra prevalere sulla natura umana, prevedendone le azioni e i comportamenti, cambiando persino il modo di strategia militare e, di conseguenza, vivere la guerra in maniera diversa.
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"Oltre il perimetro"
È così che viene tradotto il titolo originale del film nelle battute dei personaggi. Harp è costretto a vivere di persona la guerra e le conseguenze delle battaglie, dei missili lanciati e delle esplosioni. Replicandone una struttura narrativa e persino alcuni dialoghi che sembrano provenire direttamente da un videogioco, il film vorrebbe affrontare una tematica interessante, mettendo in mostra la differenza tra "giocare" alla guerra dietro lo schermo, lontano dal sangue e dal fumo, al sicuro, e "farla" davvero, attivamente. Harp va oltre il perimetro in cui si era relegato, un perimetro sicuro in cui ogni sua azione sembrava essere senza conseguenze e dove le vite umane venivano descritte solo attraverso numeri e statistiche. Trovarsi in prima linea, a sporcarsi davvero mani e corpo (e di conseguenza la mente), è l'occasione per comprendere meglio la brutalità dello scontro. Forse la pace non è una vittoria, ma un obiettivo primordiale. Forse non è una questione di fazioni: il futuro del mondo non può definirsi attraverso gli scontri.
Di macchine, umani e uomini
Uno scontro che tematicamente viene messo in scena attraverso la coppia di protagonisti, l'uno umano e l'altro robot. Se la guerra distrugge ogni soldato e ogni partito, cosa distingue gli uomini dalle macchine che combattono? Una domanda etica che avrebbe meritato uno svolgimento migliore. Il film, concentrato sullo spettacolo, non riflette troppo su queste interessanti questioni gettando l'amo in più occasioni, ma senza andare troppo in profondità. Il tentativo di elevare ciò che di buono era proposto e che poteva distinguere l'opera da un semplice action movie ad alto tasso testosteronico rimane senza sfumature preferendo risposte semplici, ovvie e non del tutto approfondite. La dialettica tra manipolazione e compassione, la perfezione e gli automatismi delle macchine che, però, a seconda della situazione, possono anche rivelarsi controproducenti, rovinando la strategia e le operazioni militari, doveva essere sviluppata meglio. Ed è ironico che proprio nel voler sottolineare l'importanza delle sfumature (nelle operazioni militari, ma anche nella caratteristica che distingue noi esseri viventi dalle macchine programmate) il film dia vita a una dimensione estrema e manichea, dove tutto o è bianco o è nero. Il risultato è un film che dovrebbe parlare di umanità, ma finisce di parlare di uomini. È un mondo maschile, quello rappresentato in Outside the wire, dove anche le donne ragionano e si comportano da uomini e dove il patriottismo, l'onore e "la cosa giusta da fare" non ammettono un po' di sensibilità, un po' di sfumature.
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Un cast di macchine
Ci permettiamo questo gioco di parole per parlare del cast. Se Anthony Mackie è perfetto nell'essere freddo e letale come una macchina, e disorientante quando deve dimostrare un lato umano che, per programmazione, non dovrebbe appartenergli, il resto degli attori non spicca particolarmente. Damson Idris fa il possibile, soprattutto nelle ultime fasi del film, per farsi valere ma il suo personaggio, rimane un mero osservatore degli eventi, troppo spaesato per dimostrarsi davvero utile, impedendogli di dimostrare carisma. Neppure quello che dovrebbe essere un grande villain affascinante e imprendibile, quale Pilou Asbæk nel ruolo di Victor Koval è relegato a una piccola parte insapore.
Conclusioni
Concludiamo la nostra recensione di Outside the wire con un giudizio a metà strada, come le intenzioni del film rispetto all’effettiva messa in scena. L’action movie avrebbe tutte le carte in regola per spiccare e affrontare tematiche interessanti attraverso una struttura che richiama i videogiochi, sottolineando la storia del protagonista con quella di uno spettatore assuefatto dalla violenza dietro lo schermo. Ma la narrazione fin troppo canonica e stereotipata e la mancanza di sfumature nei personaggi rendono il film un semplice action movie fuori dal tempo, destinato a un pubblico maschile, con alcune buone sequenze, ma in conclusione non memorabile.
Perché ci piace
- Il percorso del protagonista e le tematiche affrontate che potrebbero elevare il film.
- Qualche buona sequenza action che intrattiene a dovere.
Cosa non va
- La mancanza di sfumature e profondità rende il film un semplice action movie.
- Troppo stereotipato e rispettoso dei canoni del genere, il film non sorprende mai.