Orrori al confine
Lauren, ambiziosa giornalista di Chicago, sogna di poter andare in Iraq come inviata. Il suo capo la manda invece a Juárez, una città che si trova sul confine tra gli Stati Uniti e il Messico, dove si stanno verificando una serie di omicidi le cui vittime sono tutte giovani donne che lavorano nelle Maquiladoras, fabbriche che producono prodotti elettronici a basso costo per il mercato americano. Grazie all'aiuto di Alfonso Diaz, ex collega e ora direttore di un piccolo quotidiano locale osteggiato dalle autorità, Lauren rintraccia Eva, unica superstite dei feroci attacchi alle giovani messicane e inizia così una disperata battaglia per cercare di smascherare una vasta rete di corruzione che si estende sui due lati del confine.
Questa la trama di Bordertown, thriller a sfondo sociale ad opera del regista messicano Gregory Nava, presentato a Berlino nella sezione competitiva, e che può vantare nel cast due star internazionali quali Jennifer Lopez (premiata da Amnesty International nella capitale tedesca per l'impegno umanitario) e Antonio Banderas.
Il film di Nava ha una partenza quasi da film di denuncia, con immagini e sequenze shock sulle condizioni di lavoro e soprattutto sul massacro di queste centinaia (se non migliaia) di giovani messicane, ma prende ben presto la strada del thriller più sfacciato finendo con il limitare sempre di più lo spazio concesso "alla storia vera" a vantaggio di un intreccio delittuoso banale, poco credibile e soprattutto, se vogliamo, anche slegato dal tema, che sembrava centrale nella costruzione del film, delle Maquiladoras. Se i personaggi dei due protagonisti, più quello della giovane Eva (interpretata dalla giovane promessa messicana Maya Zapata), sono macchiettistici e poco delineati, praticamente inesistenti sono le psicologie e le motivazioni dei villains, che in tal modo finisconono per per assumere un'allure sicuramente più adatta ad un horror-slasher che ad un dramma/thriller di sfondo sociale.
Non c'è una scelta indovinata da parte di Gregory Nava, vero artefice di questo pasticcio visto che oltre alla regia, firma anche la sceneggiatura e veste il ruolo di produttore: sono evidenti le difficoltà nel gestire al tempo stesso azione e dramma, così come quelle di coniugare efficacemente realtà e finzione o di aiutare un'attrice protagonista in evidente difficoltà (sicuramente anche a causa di un ruolo malamente scritto) e per di più lasciata troppo spesso sola, quando invece una maggiore presenza della co-star maschile e una maggiore alchimia tra i due personaggi non avrebbe potuto che giovare alla pellicola.
Quello che rimane è dunque un film che nei suoi momenti migliori è una banale e inconcludente denuncia di una situazione terribilmente seria e che avrebbe richiesto ben altro approccio, ma che riesce ad offrire anche momenti di comicità involontaria o da thriller di stampo televisivo se non a irritare per la leggerezza con cui un tema del genere è stato affrontato.
Movieplayer.it
2.0/5