Orgoglio low-fi
Ormai, superato da più di qualche anno lo stupore iniziale, dovrebbe essere chiaro a chiunque: la grandezza della Pixar non risiede nello straordinario livello tecnico delle sue produzioni (corti o lunghi che siano). Ché se così fosse, rischierebbe di essere eguagliata o superata in qualsiasi momento.
La grandezza della Pixar sta nel fatto di aver messo - paradossalmente - la tecnica quasi in secondo piano, avendo come primario interesse la ricerca narrativa, le storie che si vogliono raccontare, i loro protagonisti, i sentimenti e le sensazioni di quest'ultimi. Un'ovvietà per i veri cultori dell'animazione, qualcosa di un po' più incerto per molti altri.
Non si pensi difatti che oggi questa puntualizzazione sia pleonastica od oziosa: soprattutto di fronte ad un prodotto come WALL·E si corre infatti il rischio di ascoltare commenti che non sono in grado di cogliere appieno lo spirito di un film che lavora sulle potenzialità del cinema animato come pochissimi altri.
Un film sostanzialmente muto, con protagonisti due oggetti apparentemente inespressivi (un cubetto cingolato mezzo arrugginito e un'essenzialissima ogiva figlia del design Apple), era una scommessa difficilissima da vincere. E se Andrew Stanton e la Pixar l'hanno vinta, è grazie al cuore che sono stati in grado d'infondere alla storia e ai personaggi. Un cuore che pulsa grazie ad una non usuale capacità di storytelling e ad un amore per il cinema nel senso più ampio del termine.
Tutto si costruisce in quella prima mezz'ora di film dove WALL·E ci viene presentato come uno Charlot robotizzato, e non solo per l'assenza della parola:
come il leggendario personaggio di Chaplin, anche il robottino ammassa spazzatura della Pixar è un drop out solitario e ghezzianamente fuori-sinc con il resto del mondo (tanto fuori-sinc da essere stato dimenticato e abbandonato), che coltiva passioni e pulsioni tanto semplici e naif da farci innamorare in un batter d'occhio di questo bizzarro e inconsapevolmente nostalgico custode di un romanticismo esistenziale che oggi è più necessario che mai, proprio come lo era allora quello del vagabondo con baffetti e bombetta.Stabilito il legame iniziale, il film inizia con ritmo crescente e inesorabile ad accumulare rapsodicamente situazioni, temi e personaggi: e quindi ci sono i siparietti esilaranti, l'amico scarafaggio, la partenza per lo spazio, c'è il messaggio ambientalista, la splendida umanità cicciona e atrofizzata, un comprimario da Oscar come il robottino pulitore (I want one!), le citazioni dalla fantascienza che conta, una delle scene più romantiche degli ultimi anni come quella fluttuante nello spazio profondo tra un WALL·E armato di estintore e EVE.
Il tutto inseguendo il sogno di un amore apparentemente impossibile nel suo anelito di fusione tra low- e hi-tech che simboleggia un essenziale e necessario rifiuto di quella logica strettamente e rigidamente funzionalista che riguarda troppi ambiti della società contemporanea e l'abbraccio invece di
E attenzione, che questo accumularsi e sovrapporsi di temi e situazioni non è affatto segno di una scrittura poco attenta o magari confusa: al contrario, la forza e l'innovazione di Wall-e sta anche in questa continua eccentricità, nel bonario rifiuto di seguire uno ed un solo filo conduttore.
Sarà anche vero - come sostiene qualcuno - che la Pixar ha appianato tutti i conflitti. Per questo WALL·E non arriva forse all'imprescindibilità di un Monsters & Co. ma ci arriva molto, molto vicino, affiancando (superando?) Gli incredibili.
E poi, è davvero vero che la parabola di WALL·E e delle istanze che rappresenta sono così conciliate?