Dai, dai che ci divertiamo a scrivere la recensione di Once Upon a Crime. Ci divertiamo perché quello diretto da Yuichi Fukuda non è un film, bensì una sorta di improbabile (ma ambiziosa) recita scolastica. Sorpresi, attoniti, basiti, ridendo per non piangere: un'ora e quaranta minuti in cui si toccano vette così basse da risultare, di controcampo, altissime. L'opera, che supera il concetto stesso di scult, è basata sul romanzo Akazukin, Tabi no Tochuu de Shitai to Deau di Aoyagi Aito, a sua volta adattato in un manga da Tanakanoka. Con una riflessione: se Netflix, che distribuisce il film (lo chiameremo film per brevità), ci fa scoprire la cinematografia mondiale grazie ad un catalogo vario e sempre aggiornato, ci domandiamo perché spesso opti per inserire nell'offerta opere totalmente irricevibili, che superano qualsiasi aggettivo.
Ecco, Once Upon a Crime è un esempio, e non è una questione di bellezza o bruttezza: pur avendo al centro due figure Occidentali, trascende da qualsiasi definizione cinematografica, risultando invece vicino al mondo dei cosplay, per un'atmosfera stantia e artificiale che, infatti, ci ricorda gli spettacoli scolastici di fine anno. Eppure, nell'assurdità generale, c'è un sussulto, un accenno di geniale trovata: rivedere due delle favole più famose del mondo sotto forma di giallo, che non rinuncia ai colpi di scena. Certo, tutto scombinato, tutto discutibile, tutto fragile, forse imbarazzante. Però, se non altro, può essere l'unico motivo per salvare qualcosa di oggettivamente insalvabile.
Once Upon a Crime: Cappuccetto Rosso e Cenerentola, la trama del film Netflix
Ed è complicato anche parlare della trama di Once Upon a Crime, in quanto nella seconda metà, forse anche per nostro demerito, che ci lasciamo andare a braccia aperte, accettando passivamente la narrazione, finisce per mollare la linearità iniziale per ingarbugliare matassa e personaggi. Eppure, al centro ci sono due leggende: Red (Kanna Hashimoto), ossia Cappuccetto Rosso, e Cenerentola (Yuko Araki). Si incontrano per caso in un bosco oscuro, decidendo di andare al ballo del Regno a bordo di una carrozza-zucca. Peccato che lungo il tragitto investono un uomo, occultando il corpo. Arrivati a destinazione, il Re scopre dell'accaduto, aprendo la caccia ai colpevoli. Come se non bastasse, Cenerentola si innamora del Principe (Takanori Iwata).
Estenuante bizzarria...
Tutto qui? Più o meno: perché prima del lungo e interminabile "spiegone" finale di Once Upon a Crime, enunciato da un infallibile Cappuccetto Rosso (chissà perché le rivisitazioni la disegnano sempre come fosse una detective), i personaggi entrano ed escono di scena come fossimo a teatro, in una messa in scena che, a spanne, alterna appena otto o nove scene, quasi interamente dialogate - la sensazione è che ci sia un letterale adattamento del romanzo originale, venendo letto più che recitato.
Poi, tra tonalità sfavillanti e costumi appariscenti, ci sono appena due location dove si palesano gli interpreti (il bosco e il castello), spesso disposti in circolo, alternando battute e punti di vista in un verboso flusso di parole, a tratti estenuante nel suo ritmo bloccato e ridondante. La svolta finale, teoricamente, sarebbe anche interessante, come l'ambizione narrativa di rivisitare due favole iconiche, mettendole in contatto tra essere tramite un mystery movie. Ciononostante, la staticità generale, l'artificio, il linguaggio, l'approccio, rendono Once Upon a Crime un prodotto sconnesso e incomunicabile nella sua snervante e colorata bizzarria.
Conclusioni
Una manciata di scene, due location, personaggi che entrano ed escono dalla scena come se fossero su un palco di una recita scolastica. Come scritto nella nostra recensione, Once Upon a Crime, film giapponese, è un oggetto totalmente irricevibile, bizzarro nella forma e nei colori, strutturato seguendo una messa in scena verbosa e didascalica. Oltre lo scult. Con una domanda: perché aggiungerlo al catalogo Netflix?
Perché ci piace
- L'idea iniziale.
Cosa non va
- Statico.
- Verboso.
- Uno spiegone finale che dura 27 minuti.
- Sconnesso, senza un pubblico di riferimento.