Nona regia, ottavo film di finzione per Edoardo Leo. Forse, anche quello più ambizioso, nonché la dimostrazione di una forte idea, sia narrativa che visiva, che arriva dopo un percorso lucido, e volutamente trasversale. "Una modernità sconcertante", che parte dalla cronaca tristemente attuale, e si lega agli archetipi di William Shakespeare. Per questo, Non sono quello che sono, da una parte scava dentro l'autore, dall'altra si apre ad una visione di intenti capace di restituire la sonorità di una lingua viva.
La revisione dell'Otello pensata da Leo, che si ritaglia (anzi, si "regala") il ruolo di Iago, affidando ad Ambrosia Caldarelli il ruolo di Desdemona e quello di Otello a Jawad Moraqib. "Ho iniziato a scrivere il film quindici anni fa", spiega il regista. "All'epoca non lo proposi, era un azzardo. Tuttavia ho continuato a lavorare su questo grande classico. La partenza è un articolo di giornale, che racchiudeva in breve la sinossi dell'Otello. Ho cominciato a chiedermi come una cosa scritta ne l604 potesse rappresentare una deriva malata ancora attuale. Poi c'è il dialetto, che mantiene intatta la violenza e la poesia di certe dinamiche shakespeariane".
Non sono quello che sono: intervista ad Edoardo Leo e Ambrosia Caldarelli
Dal tono estremamente cinematografico, ma al contempo teatrale, Non sono quello che sono parte da "Un'urgenza da parte di tutti di portare al cinema qualcosa di contemporaneo. Un fatto di cronaca che ne racchiude tanti altri. Ho cercato di non mettere immagini nella scrittura di Otello. Ci sono poche didascaliche. Ho fatto una traduzione pura del testo, sfruttando gli spazi. E in ogni spazio c'è l'infinito. Lo spazio tra le parole è la mia libertà, in questo caso".
Poi, un ragionamento sull'utilizzo della lingua dialettale romana. "Il lavoro sulla lingua e sui corpi è stata la parte più entusiasmante. Il dialetto ha forza straordinaria, che ci porta dritti nel cuore della strada. Confrontando traduzioni diverse, c'era sempre differenza. Avevo davanti a me una strada: tradurre il testo e svuotare l'aurea romantica del protagonista. Oggi non è più tempo di vestire Otello di fascino e di pietas. In questo momento storico non è più una lettura accettabile. Ecco, i classici immortali devono aiutare a capire il presente: scardinando narcisismo e possesso".
A proposito di presente, Ambrosia Caldarelli, nella nostra video intervista spiega che: "Il cinema deve andare di pari passo con la vita. È fondamentale raccontare altri tipi di storie. Siamo molto abituati a vedere poi certi atteggiamenti di potere, anche quando vediamo certe persone. La figura della donna è associata a certi comportamenti, purtroppo normalizzati. Come vediamo negli uomini attorno a Desdemona. Un oggetto da ottenere".
L'attualità di Shakespeare
Edoardo Leo, poi, si sofferma sull'estetica del film, resa brutale e brutalista dalla fotografia di Marco Bassano. "Il look del film è stato oggetto di lungo studio, con un direttore della fotografia giovane, che non conoscevo, dandomi suggestioni forti. Macchina a mano e un impianto quasi documentaristico, con dialoghi quasi letterari. Doveva esserci contrasto ma coerenza, tra location senza nome e senza volto. Dovevano esistere solo i personaggi parlanti. Otello è una tragedia della parola".
Se il testo di Otello è così attuale, il regista, con lucida sensibilità e marcata consapevolezza (è abbastanza raro sentire certe parole pronunciate da un uomo) riflette sulla disequilibrata condizione della donna rispetto alla tossicità soggiogante maschile: "Scoprire quanto le donne siano tragicamente allenate a difendersi è scioccante", confida Leo. "Non penso che il cinema debba lanciare messaggi, ma invece deve porre domande: in più di quattro Secoli non è cambiato nulla. Per questo l'Otello è ancora tristemente attuale. Siamo in un momento di passaggio: da uomo, ho chiaramente la paura di sbagliare termini o situazioni, però dobbiamo farci i conti. Questa violenza verbale di ritorno, forse, ci fa provare quello che le donne hanno provato per Secoli. Sono cose che un uomo raramente comprende".