A festeggiare i 60 anni della RAI ci pensa la miniserie Non è mai troppo tardi (due puntate, in onda su Rai Uno il 24 e 25 febbraio), ambientata nel dopoguerra, quando la TV di stato iniziava a far capolino nelle case degli italiani e aveva un ruolo educativo. Il merito va in gran parte ad Alberto Manzi, il maestro interpretato da Claudio Santamaria, che ha insegnato a leggere e scrivere ad un milione e mezzo di persone, tra grandi e piccini, proprio dal piccolo schermo. Secondo i vicedirettori Francesco Nardella (Rai Fiction) e Roberta Enni (Rai Uno) questa fiction oggi risulta più necessaria che mai perché offre spunti di riflessione e stimoli per migliorare il senso del servizio pubblico attuale.
Non è mai troppo tardi, realizzata da Bibi Film TV di Angelo Barbagallo, è diretta Giacomo Campiotti che ne firma la sceneggiatura con Claudio Fava e Monica Zapelli. Nicole Grimaudo interpreta Ida, la moglie di Manzi, e un gruppo variegato di giovani attori dà il volto agli alunni del maestro, da quelli del riformatorio capitanati da Ricotta (Gennaro Mirto) e Felice (Lorenzo Guidi da bambino e Francesco Marchiodoro da adulto).
Perché le lezioni di Manzi tornano attuali?
Francesco Nardella: Manzi, uomo coraggioso e controcorrente, cerca di entrare nel processo educativo spettinando le regole e intercettando il mezzo televisivo allo scopo di alfabetizzare il Paese. La sua è una storia esemplare vicina alla linea editoriale di Rai Fiction e la vorremmo usare per riflettere su quello che dobbiamo fare noi in questo momento. Manzi è la metafora perfetta: dobbiamo lavorare per l'eccellenza, pur raccontando storie popolari, in modo tale che nessuno si senta escluso dalla rappresentazione nella fiction italiana.
Monica Zapelli: Questo personaggio è straordinario per l'anomalia dell'incontro con la tv: ha enorme talento pedagogico, eppure rifiuta i progetti di ricerca per fare il maestro. E dopo Pinocchio, il suo libro Orzowei è il massimo successo nella letteratura italiana. Teorizzava la disubbidienza intelligente: se le regole erano sbagliate si rifiutava di seguirle. Nonostante la trasmissione andasse in diretta, la Rai ha avuto il coraggio di farla condurre ad un "irregolare" che parla dell'assassinio di Kennedy, per fare un esempio, nel momento stesso in cui gli chiedono di non farlo. S'inventa un modo non convenzionale di fare televisione trasformando il pubblico in classe e non in spettatore. Così il programma venne comprato in più di 70 Paesi.
Cosa ti ha spinto ad accettare il ruolo?Claudio Santamaria: Mi commuove vedere una luce accendersi in una persona: Manzi cerca di tirar fuori il meglio dagli altri, lottando per dare dignità a quanti non hanno possibilità di studio. La sua seconda moglie al telefono mi ha detto che in uno dei suoi rari momenti autocelebrativi diceva che il suo modo d'insegnare era 50 anni avanti. E lo è ancora oggi, quindi secondo me è avanti di 100 anni. Celebrarlo e farlo conoscere significa questo: accendere una luce nelle persone e far riflettere sulla formazione delle generazioni future. Di ritorno dal fronte, ha capito che la guerra viene dall'ignoranza. La sua missione, allora, era creare una società migliore, di persone che si aiutano a vicenda, non classista né competitiva.
Che ruolo ha avuto sua moglie in questa missione?
Nicole Grimaudo: Per me è stato un grande onore interpretare questa donna che sposa l'uomo ma anche il maestro, lo sostiene come prima fan e quindi la carriera del marito è anche merito suo, per essergli stata sempre accanto. Ha la dolcezza ma anche il coraggio di crescere da sola una bambina dopo essere stata cacciata di casa. Anch'io, come Nicole dico, mi sarei innamorata di un uomo così.
Qual è il messaggio più forte?
Nicole Grimaudo: Dà un messaggio importante perché mostra come l'istruzione sia simbolo di libertà. Ci siamo emozionati perché è una storia di grande passione che val la pena raccontare.
Claudio Santamaria: La mia maestra alle elementari era severissima: metteva i più bravi al primo banco e io finivo sempre tra l'ultimo e il penultimo. La storia di Manzi mi tocca non solo perché ho avuto un'insegnante del genere ma perché la scuola è ancora legata alla classificazione dell'errore dell'allievo, che invece porta a spaventarlo. Per me Manzi è una specie di supereroe!
Manzi arriverà a Sanremo?
Claudio Santamaria: Sì, ma stiamo ancora parlando con gli autori per capire come presentare la miniserie. Non credo che canterò anche se mi piacerebbe: canterei ogni volta che vedo un microfono.
Qual è la missione del servizio pubblico oggi e quali programmi sono educativi?
Claudio Santamaria: La tv diventa servizio pubblico se fa conoscere cose che non si conoscono. Non faccio lo snob, ma io non la guardo perché preferisco vedere i film con il proiettore.
Oggi la scuola è cambiata dai tempi di Manzi?
Claudio Santamaria: A me sembra che il sistema sia rimasto lo stesso, con voti e schede di valutazione, anche se le persone cercano di alzare il tiro.
La RAI fa un'autocritica con questa miniserie?
Roberta Enni: Manzi ha parlato a noi operatori della tv e continua a darci una lezione su cosa sia questo mezzo, incarnando le caratteristiche che la buona televisione deve avere: non si fa omologare e ha il coraggio di inventarsi modi nuovi per portare dei contenuti, parla a tutti ma rivolgendosi a ciascuno. I bambini di Manzi erano tutti speciali e venivano ascoltati in base alle loro esigenze e non a standard precostruiti. Va bene il confronto, ma non la malinconia verso quei tempi che non deve diventare un alibi. C'è un modo di fare la nuova tv: forse non è pedagogico, ma di servizio, per essere plurali.
Angelo Barbagallo: La RAI ha prodotto la miniserie anche se la mette in discussione: vuol dire che qualcosa si può fare, è una sfida.